4^ domenica di Pasqua

Vincent van Gogh – Dopo la tempesta (Pastore con un gregge di pecore) – 1884

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(At 2, 14a.36-41;   1Pt 2, 20b-25;   Gv 10,1-10)

Duomo di Belluno, 3 maggio 2020

Un pastore ci trasmette sensazioni di tranquillità, di sicurezza, di serenità; non altrettanto un condottiero, un generale, un imperatore. Il pastore non ha armi, non ha mire di conquista; attende solo al suo gregge, e vi attende con cura. Il gregge è la sua ricchezza, la sua preoccupazione; è la sua vita. Condivide con esso le giornate, gli spostamenti, le intemperie, tutto. Si preoccupa di procurargli pascoli, di farlo giungere a corsi d’acqua perché possa dissetarsi; guarda con occhio attento gli agnellini appena nati e le loro madri appena sgravate; vigila perché lupi e bestie feroci non lo attacchino e non lo sbranino. Il pastore vuole bene alle sue pecore, ad esse talvolta dà anche dei nomignoli affettuosi: ‘orecchie lunghe’, ‘muso bianco’, ‘fiocco di neve’.

Gesù si è paragonato ad un pastore: è il buon pastore, che fa tutto, nei riguardi delle persone, ciò che fa il pastore. Ci considera il suo bene, la sua proprietà, il suo tesoro: egli, oltre al Padre, non ha che noi. E’ venuto a prendersi cura di noi; ci nutre con l’Eucaristia, ci disseta con la Parola di Dio, ci guida con la Chiesa, ci medica le ferite con i Sacramenti, ci cerca se ci fossimo perduti, ci custodisce e difende dai pericoli, ci accompagna in ogni nostro passo, ci chiama ciascuno per nome.

Gesù è ‘pastore’; pastore e anche ‘porta’: “Io sono la porta delle pecore -gli ha detto- se uno entra attraverso di me, sarà salvato; avrà vita, perché io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. E’ importante non sbagliare porta. Quante ‘porte’ il mondo apre e spalanca davanti all’uomo, lasciando intravvedere, al di là di esse, verdi praterie, acque abbondanti, panorami allettanti, e tutto è avvelenato, regione di perdizione e di morte! La porta vera è il Signore; quella è da prendere, attraverso quella è da entrare! Entrarvi, per trovare ciò per cui siamo fatti: Dio, nostra radice; e noi, la parte più vera di noi.

Oggi, quarta domenica di Pasqua, ‘domenica del buon pastore’, la Chiesa in tutto il mondo celebra la giornata di preghiera per le vocazioni sacerdotali, istituita cinquantasei anni fa, nel 1964, dal santo papa Paolo VI. La Chiesa ha bisogno di sacerdoti. Il santo Curato d’Ars diceva: “Lascate vent’anni una parrocchia senza sacerdote, e vi si adoreranno le bestie”. Chiesero a Madre Teresa di Calcutta: “Qual è, madre, la cosa più bella al mondo?” – “E’ l’amore”, rispose. “Qual è la felicità più grande?” – “Essere utili a qualcuno”. “E quali sono le persone più necessarie?” – “I sacerdoti”, disse. Il sacerdote è presenza di Dio tra gli uomini, è segno concreto e visibile del buon pastore, rivestito degli stessi poteri di Cristo-pastore, poteri di grazia e di salvezza.

“La messe è molta, ma gli operai sono pochi”, disse Gesù. E suggerì: “Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe” (Mt 9,37-38). Disse: “pregate”, chiedete. Sì, sono utili convegni, congressi, pubblicazioni, dibattiti sul problema delle vocazioni sacerdotali, ma Gesù disse “pregate”. Perché mai la preghiera sarà così importante per questa questione? Perché Gesù avrà detto di pregare e non indicò altro? Perché la preghiera conserva e accresce la fede, e solo in ambienti di fede nasceranno vocazioni. “Dio può far nascere figli di Abramo anche dalle pietre”, disse Giovanni battista (Lc 3,8), ma normalmente il desiderio di Dio nasce, cresce e si sviluppa là dove si vive di Dio. Da un popolo che prega nasceranno vocazioni; da un popolo di fede sorgeranno persone consacrate.

Preghiamo oggi il buon pastore perché ci renda pecore docili, obbedienti e amanti di lui; pecore che entrano per la porta vera, che è il suo cuore. E preghiamo perché nella Chiesa e nel mondo cresca la fede, così che non restiamo senza pastori.

don Giovanni Unterberger

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