10^ domenica dopo Pentecoste (forma straordinaria)

Paolo Veronese – Cena a casa di Simone – 1570

clicca QUI per scaricare l’omelia

(1 Cor 12,2-11;   Lc 18, 9-14)

Belluno, chiesa di s. Pietro, 9 agosto 2020

Due uomini al tempio: due mondi diversi, anzi opposti. L’uno incentrato su di sé, l’altro incentrato in Dio. Due mondi distanti l’uno dall’altro più di quanto è distante l’oriente dall’occidente, più di quanto sono lontani tra loro il cielo e la terra; tanto lontani tra loro quanto lontano è l’uomo da Dio: lontananza siderale. E lontananza drammatica, perché uno, il pubblicano, era nella salvezza, l’altro, il fariseo, era fuori di essa. Gesù lo dice espressamente: “L’uno tornò a casa giustificato, a differenza dell’altro”.

Perché mai il fariseo era fuori della salvezza, pur potendo dire: “io non sono ladro, adultero, io digiuno e pago le decime”? Perché la salvezza dell’uomo non è l’uomo, ma Dio. E il fariseo era ‘fuori Dio’, per la sua superbia e il suo orgoglio. Il pubblicano invece era ‘in Dio’, pur col suo peccato. La salvezza è ‘essere in Dio’.

Siamo ancora una volta al punto nodale, a quello su cui siamo tornati più volte nelle nostre riflessioni, nelle omelie, e che pur tuttavia ha continuo bisogno di essere ricordato e richiamato, perché è il punto discriminante, lo spartiacque della vita spirituale: incentrarsi in Dio.

Nasciamo separati da Dio; incolpevolmente, ma separati e non in comunione con lui: il peccato originale ci fa nascere in questa condizione. Il battesimo rimedia e ci innesta in Dio, ci fa esistere in Cristo, ci fa diventare sue membra, concorporei con lui. Ma quanto difficile è per noi mantenere e conservare questa comunione, questa inserzione! Anche già solo a livello mentale e di consapevolezza! Non ci viene spontaneo pensarci viventi in Cristo, esistenti in lui, parte viva di lui. Al massimo ci viene da considerare Cristo ‘di fronte’ a noi, e noi ‘di fronte’ a lui, ma non noi ‘in lui’. Mentre questa è la realtà vera.

E se è così debole la nostra comprensione di noi, come sarà allora la nostra vita, il nostro agire e il nostro operare? Quanto la nostra esperienza ci dice, infatti, che viviamo poco ‘in Cristo’, che gran parte delle nostre azioni le compiamo senza coglierci ‘in lui’, ma unicamente incentrati ‘in noi’! E soffriamo di solitudine, di non senso; o, per lo meno, di senso limitato, fugace ed effimero in ciò che viviamo, mentre invece siamo fatti per l’eterno, per ciò che ha senso duraturo e per sempre! E’ Cristo, e solo Cristo, che può darci ciò.

Il pubblicano si pose in Dio: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”, disse. Paradossalmente furono i suoi peccati a buttarlo in Dio. Ciò che di per sé avrebbe dovuto tenerlo lontano da Dio, fu ciò che lo spinse in lui. Nell’umiltà.

E’ l’umiltà che ci getta nel Signore; l’umiltà, che riconosce che neppure esiteremmo senza Dio; che riconosce in lui la radice; che riconosce in Cristo la sorgente di ogni vita spirituale buona; che riconosce in lui il perdono dei peccati di cui abbiamo continuo bisogno.

Non dunque chiusi orgogliosamente in sé, come il fariseo, ma viventi umili e gioiosi in Cristo Gesù; in Cristo Gesù Salvatore.

don Giovanni Unterberger

Questa voce è stata pubblicata in Omelie di Don Giovanni. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.