28^ domenica del Tempo Ordinario

Rembrandt van Rijn – La parabola dell’uomo ricco – 1627

clicca QUI per scaricare l’omelia

(Sap 7,7-11 ;  Ebr 4,12-13 ;  Mc 10,17-30)

Sabato 9 ottobre, risalente a sabato 13 ottobre 2012

Che cosa c’è nel nostro cuore? che cosa lo abita?

Nel cuore di quell’uomo che sentì dirsi da Gesù: “Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!”, c’era qualcosa che gli impediva di accogliere quelle parole, quell’invito. Quell’invito era troppo duro, troppo esigente per lui. In cuore quell’uomo aveva qualcosa che per lui era importante, prezioso, a cui era attaccato e a cui non si sentiva di rinunciare. Aveva in cuore “molti beni”, molte ricchezze, dice il Vangelo.

Nel caso di quell’uomo le ricchezze erano di tipo economico, materiale; e il cuore di quell’uomo era legato a tali ricchezze economiche e materiali.

L’uomo di sempre deve guardarsi dall’avidità e dall’attaccamento ai beni di questo mondo, al possesso, al denaro. Il denaro esercita un fascino particolare sul cuore dell’uomo, perché nel cuore dell’uomo una radice malata lo spinge a desiderare sempre di più, a possedere sempre di più, ad avere sempre di più. Tale radice malata, se non viene curata, produce tanti mali, impedisce di apprezzare i valori più grandi della vita, Dio stesso; rende il cuore duro e insensibile verso i bisognosi, disturba ed arriva fino ad avvelenare i rapporti familiari anche più stretti, come nel caso delle divisioni in fatto di eredità.

L’invito di Gesù è a non attaccare il cuore alle ricchezze, ad una sorta di “verginità del cuore” di fronte alle ricchezze.

Che bella la verginità del cuore! Questa parola, “verginità”, ha subìto nella nostra cultura una forte riduzione di senso, che l’ha molto impoverita. “Verginità”, nel suo significato ampio, significa libertà, significa non essere attaccati a nulla, non essere catturati e fatti prigionieri da nulla.

C’è una “verginità” dal denaro, come abbiamo detto, per cui il denaro non diventa l’idolo del mio cuore; ma c’è una “verginità” nei rapporti, nelle relazioni, per cui non cerco di legare a me le persone, neppure le persone più care, quali lo sposo, la sposa, i figli, ma li riconosco e li rispetto nella loro libertà; né mi attacco alle persone cadendo in una specie di dipendenza affettiva, che mi toglierebbe libertà.

C’è una “verginità” dai propri progetti, dal proprio modo di vedere le cose, dal proprio pensare, che mi rende capace di accogliere il pensiero dell’altro, mi conserva  aperto alla verità, disponibile alla concordia e alla pace.

C’è una “verginità” di fronte agli eventi, per cui li accetto, per quello che hanno di ineluttabile; come ad esempio il passare degli anni, il diventare anziano, vecchio; c’è una “verginità” anche di fronte alla morte, aiutato dalla fede in Dio e dalla certezza della risurrezione.

C’è una “verginità” dai propri limiti, dagli sbagli commessi nella vita, dai propri peccati, per cui non ci sentiamo definiti e coincidenti esattamente con i nostri peccati e i nostri errori, ma ci sentiamo qualcosa di più, liberati dai nostri peccati da Dio, e decisi ad uscire da essi.

Siamo chiamati ad essere “vergini”, cioè ad essere liberi, a non essere servi e schiavi di niente e di nessuno. Neanche di noi stessi; “vergini” anche dai nostri umori, dai nostri sentimenti, dai nostri risentimenti, dai nostri ricordi, dalle nostre paure.

Oh beata “verginità”, che vuoi abbracciare tutta la mia vita! che vuoi tenere libero e sgombro il mio cuore per Dio, per il bene, per la verità, per ciò che può rendermi felice!

Non è facile una tale “verginità”: domanda lotta, forza e coraggio. E forse può sembrare troppo difficile e alta da raggiungere; quasi impossibile. Ma Gesù ha detto: “Impossibile agli uomini, ma non a Dio; a Dio tutto è possibile”; Dio può tutto, può farci “vergini” così.

Gesù fu “vergine”, Maria fu “vergine”, i Santi si sono incamminati su questa via di “verginità”, ed ebbero il centuplo già in questa vita; il centuplo in serenità, in gioia, in esperienza di Dio, e poi la vita eterna; così come Pietro, e come gli altri apostoli, che si sentirono dire: “Voi che avete lasciato tutto avrete cento volte tanto”. Non tutti siamo chiamati a lasciare tutto effettivamente, ma tutti siamo chiamati alla “verginità di cuore” di fronte a tutto.

Riesce a camminare su questa via di “verginità” colui che ha trovato il tesoro, colui che ha trovato Dio, perché non ci si può staccare da una cosa, da un bene, se prima non si è scoperto e non si è trovato un altro bene, un bene maggiore, se non si è trovato Dio.

E’ Dio, dunque, che dobbiamo cercare, che dobbiamo desiderare e a cui dobbiamo sforzarci di aderire. Egli non ci deluderà; egli basterà al nostro cuore, e nulla ci toglierà; ci farà vivere tutto in una dimensione nuova, in una dimensione di maggiore libertà, di maggiore gioia, profondità e ricchezza, Sperimenteremo “il centuplo” in questa vita, e avremo poi lui, in pienezza, nella vita eterna.

Questa voce è stata pubblicata in Omelie di Don Giovanni. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.