Solennità del Sacro Cuore di Gesù

José de Páez – Sacro cuore di Gesù con sant’Ignazio di Loyola e san Luigi Gonzaga -1770

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(Os 11,1. 3-4. 8-9;   Ef 3,8-12. b14-19;   Gv 19,31-37)

venerdì 24 giugno 2022, risalente al 7 giugno 2013

“Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto”; guarderanno a Colui che hanno messo in croce. Sì, dopo aver guardato in mille direzioni, e dopo aver posato il suo sguardo su mille cose e su mille creature, l’uomo dovrà alla fine posare il suo sguardo sul Figlio di Dio fatto uomo e crocifisso per noi, crocifisso da noi; perché “non è dato altro nome agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo trovare salvezza” (At4,12).

E’ là, in quel Cuore, in quella Croce, la nostra salvezza; in quel Cuore aperto e spaccato con violenza dalla lancia del soldato; cuore aperto, diventato varco da cui è uscita tutta la tenerezza di Dio, sangue ed acqua, simboli del dono totale e più intimo di Lui, e varco accessibile attraverso il quale il peccatore pentito può passare fino ad arrivare alla misericordia infinita di Dio.

“Attingeremo con gioia alle sorgenti della salvezza”, abbiamo cantato come ritornello del salmo responsoriale, espressione stupenda che la Liturgia mutua dal profeta Isaia (Is 12,3). Sì, “attingeremo”. Attingeremo oggi, attingeremo domani, attingeremo dopodomani, attingeremo il prossimo mese, il prossimo anno, sempre. Attingeremo tutta la vita; tutta la vita quaggiù e tutta l’eternità lassù in cielo. Attingeremo; perché questa è la nostra condizione, la nostra condizione più vera, quella di attingere, quella di poveri che hanno bisogno di attingere.

Per tutti, prima o poi nella vita, viene il momento in cui ciò in cui avevamo confidato, ciò che ci era apparso sorgente (e lo era stato in una certa misura) mostra il suo limite e la sua inadeguatezza, si inaridisce e viene meno, ci lascia assetati; e allora, allora noi avremo bisogno di attingere, di attingere ad una sorgente sicura, ad una sorgente inesauribile che non finisca mai, che dia sempre acqua; avremo bisogno di incontrare e di attingere alla sorgente di Dio.

“Chi ha sete venga a me e beva”, disse Gesù l’ultimo giorno della festa delle Capanne, “fiumi d’acqua viva sgorgano dal mio seno” (Gv 7,37-38). Fiumi (!), fiumi di acqua viva; non gocce, non rigagnoli, non ruscelli, ma fiumi! Questi fiumi escono dal suo seno, dal suo Cuore aperto e spaccato dal soldato sulla croce. “E subito ne uscì sangue ed acqua”.

Noi siamo invitati ad attingere “con gioia”. “Attingeremo con gioia alle sorgenti della salvezza”. Ma come possiamo attingere con gioia a quel fiume che esce dal fianco di Cristo, se quel fianco l’abbiamo trafitto noi, se quella ferita da cui esce sangue ed acqua l’abbiamo provocata noi con le nostre infedeltà e con i nostri peccati? Come possiamo avere la sfrontatezza di abbeverarci a quel sangue e a quell’acqua dopo che con la lancia in mano, con gesto cattivo, lo abbiamo fatto fuoriuscire noi dal corpo santissimo del Signore? Non dobbiamo piuttosto rifuggire da quella ferita, e velarci lo sguardo una volta per tutte per non vederla più, perché essa è la nostra vergogna e la nostra condanna?

Ma no; ascoltiamo le parole della Sacra Scrittura: “Attingeremo con gioia alle sorgenti della nostra salvezza”. Egli, quel Gesù che è trafitto in croce per noi, e da noi, si è offerto e sacrificato perché Lui l’ha voluto (Gv 10,18), perché così Egli ha deciso; Egli si è dato di sua volontà per salvarci, per redimerci, per perdonarci ogni colpa, per farci vivere e respirare liberi nel suo sacrificio d’amore. E’ Lui che ci dice: “Venite, attingete con gioia alle fonti della salvezza”; attingete lieti e confidenti, sicuri, alle sorgenti del mio amore.

San Bernardo di Chiaravalle in una sua omelia sulla passione di Cristo ha una immagine suggestiva; dice: “Noi abbiamo piantato chiodi nelle membra del corpo di Gesù; ma quei chiodi (“clavi” in latino; san Bernardo scriveva in latino) sono diventati la “clavis”, la chiave che ha aperto il tesoro  che in quel corpo era nascosto: il tesoro della sua misericordia, del suo amore di tenerezza, di remissione di ogni colpa. Perché questo, e non altro, albergava in quel corpo e in quel Cuore. I “clavi” sono diventati la “clavis”; il colpo di lancia ha aperto la feritoia da cui è uscito l’amore. Dal Cuore trafitto di Gesù esce solo amore e misericordia; non esce giudizio, non esce rimprovero, non esce condanna; per cui noi, allora, attingiamo “con gioia” a quel fiume di grazia e di salvezza.

“Attingeremo con gioia alle sorgenti della salvezza”. Davvero lì è la salvezza; lì è tutto l’amore del Padre per l’umanità; lì è tutto il dono dello Spirito Santo concentrato in quel Cuore santissimo. Attingendo e bevendo a quel Cuore noi attingiamo e beviamo Dio; attingiamo e beviamo, portandoli in noi, i sentimenti che furono di Cristo Gesù: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù”, esorta san Paolo (Fil 2,5). Noi, un po’ alla volta, bevendo il sangue e l’acqua del fianco di Cristo, diventeremo sempre di più “Gesù”. E il mondo, bevendo e abbeverandosi a quella sorgente santa diventerà anch’esso sempre un po’ di più “Gesù”. E allora sarà la salvezza. Sarà la salvezza piena e completa che Dio ha pensato e donato al mondo.

Stiamo attaccati, inseparabilmente, al Cuore santissimo di Gesù.

Don Giovanni Unterberger

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