13 domenica del Tempo Ordinario

Vincent Van Gogh – Campo innevato con un aratro – 1890

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(1Re 19,16b. 19-21;   Gal 5,1. 13-18;   Lc 9,51-62)

26 giugno 2022, risalente al 30 giugno 2013

Avrete certo notato una differenza tra la prima Lettura e il Vangelo. Nella prima Lettura Eliseo, ricevuta l’investitura a profeta dal profeta Elia che gli gettò addosso il proprio mantello, ottenne il permesso da Elia di andare a salutare i suoi di casa, il padre, la madre, prima di mettersi definitivamente al suo servizio; l’uomo del Vangelo, invece, che chiese a Gesù di andare a congedarsi dai suoi familiari prima di seguirlo e di mettersi al suo seguito, si sentì dire da Gesù un chiaro “no”. Gesù fu più esigente, più radicale di Elia.

E anche negli altri due casi di sequela riportati da Luca Gesù si mostrò del tutto radicale. A quel tale che gli disse: “Ti seguirò dovunque tu vada”, Gesù rispose: “Le volpi hanno le loro tane  e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”, il che era come dire: “non aspettarti nessuna sicurezza materiale da me; io stesso non ho alcuna sicurezza materiale; non ho ricchezze, non ho appoggi in alto; anzi, al contrario, sono osteggiato, sono perseguitato, sono cercato a morte. Non ho nessuna sicurezza da offrirti, proprio nessuna, in questo mondo”.

E all’altro che gli chiese: “Permettimi prima di andare a seppellire mio padre” (il che indicava non il semplice partecipare al funerale del padre, ma assisterlo nella vecchiaia fino alla morte) Gesù rispose: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti”, cioè lascia che coloro che sono ‘morti’ di fronte al mio messaggio, che coloro che non hanno capito l’assoluto primato di me per la loro vita e che non hanno colto che la loro vocazione è mettersi totalmente, radicalmente e unicamente al mio servizio.., lascia che costoro attendano alle cose di questo mondo, cose pur legittime e doverose quale è l’assistere il proprio padre nella sua vecchiaia; tu, invece, va’ e annuncia il regno di Dio, rinunciando a qualsiasi altra cosa, rinunciando a tutto”.

Gesù è un Gesù radicale. Ci viene in mente il suo discorso sul monte: “In antico vi fu detto: non uccidere, ma io vi dico: neanche devi adirarti contro tuo fratello, neanche devi dirgli ‘stupido’, ‘pazzo’. In antico vi fu detto: non commettere adulterio, ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore. In antico vi fu detto: amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico, ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori” (Mt 5,21-47).

Gesù è un Gesù radicale, non si ferma alle mezze misure. Non dice: “siate buoni un po’; siate generosi un po’; siate mortificati un po’ ”. No, egli dice: “Se uno ti chiama in giudizio per toglierti la tunica, tu lasciagli anche il mantello; se uno ti costringe a fare un miglio, tu fanne con lui due” (Mt 5,40). Dice: “Se il tuo occhio ti è occasione di peccato, cavalo e gettalo via da te (non dice solo ‘chiudilo’), e se la tua mano ti è occasione di peccato, tagliala e gettala via da te (non dice solo ‘tienila ferma’). Gesù è deciso, è radicale; dice: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48).

La radicalità di Cristo! La radicalità di Cristo e del suo Vangelo è per noi qualcosa di sconvolgente e insieme di affascinante; è un qualcosa che ci spaventa e quasi ci allontana, e insieme è qualcosa che ci attrae e che ci chiama. Che cosa lasceremo prevalere in noi? quale dei due sentimenti lasceremo vincere nel nostro cuore, la paura o il fascino? Da che parte si porrà la nostra volontà?

Ascoltiamo il nostro cuore: il nostro cuore ha paura della fatica, dello sforzo, delle alte vette da scalare, eppure si sente fatto per le alte vette, cerca il tutto, sente il bisogno di aria pura, di acqua di sorgente, avverte profondo il bisogno di perfezione. Gesù, proponendoci mete radicali, ci fa un servizio grande, rende ragione alle dimensioni del nostro cuore, che sono infinite. Non fa il nostro bene chi ci chiede poco, perché noi siamo fatti per il molto; non ci vuole bene davvero chi ci lasciasse rimanere nella mediocrità, perché siamo fatti per la santità.

La conosciamo bene l’insidia, la tentazione; è il dire: “non sono capace”; è il dire: “la radicalità di Cristo è troppo alta per me”. E’ Satana, il nemico, che ci spinge a dire così. Egli è la menzogna. La verità è invece che “ciò che è impossibile agli uomini non è impossibile a Dio”; dice Gesù (Mc 10,27). Mi ha fatto impressione un mio confratello che, in un recente incontro tra noi sacerdoti in cui meditavamo sull’invito di papa Giovanni Paolo II rivolto a tutta la Chiesa all’inizio del terzo millennio a puntare ad una “misura alta” della vita cristiana, ha detto: “Tante volte non siamo sinceri con noi stessi, tiriamo in  ballo giustificazioni e scuse per non impegnarci davvero a vivere il Vangelo nella sua radicalità; diciamo: ‘non sono capace; non ce la faccio; non è per me’, per non dire ‘non voglio; non ho la volontà di impegnarmi’. Dobbiamo essere più sinceri e più onesti con noi”, diceva.

La radicalità del Vangelo è ciò a cui dobbiamo tendere sempre, perchè essa corrisponde all’ampiezza del nostro cuore; e perchè solo così, solo se vivrà radicalmente il Vangelo di Cristo, la Chiesa potrà essere luce delle genti, sale della terra, vessillo innalzato tra le nazioni; altrimenti sarà destinata ad essere una realtà tra le tante, condannata a non avere nulla da dire al mondo, e diventata infedele alla missione affidatale dal suo Signore. Tendiamo, fratelli, alla radicalità di Cristo! Anche lui, Cristo, è stato radicale con noi: ha dato il suo sangue e la sua stessa vita per noi.

don Giovanni Unterberger

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