18° Domenica del Tempo ordinario

(Is 55,1-3;   Rm 8,35. 37-39;   Mt 14,13-21)

Duomo, sabato 2 agosto 2014

Gesù non vuole che soffriamo la fame; Gesù non vuole che nessuno soffra la fame. Alla gente che lo seguiva oramai da tempo e aveva fame perché aveva esaurito tutte le scorte di cibo, Gesù provvide moltiplicando i pani e i pesci; diede da mangiare a oltre cinquemila persone di sua iniziativa; per un impulso del cuore; e in sovrabbondanza, tanto che ne avanzarono dodici ceste piene.

Gesù non vuole che l’uomo soffra la fame. Eppure oggi nel mondo c’è chi soffre la fame. Milioni di persone non hanno il necessario per vivere; o vivono al limite della sopravvivenza, denutrite e malnutrite; e, per questo, vittime di malattie, di epidemie, di uno stato di estrema debilitazione.

Dio ha messo nelle mani dell’umanità beni sufficienti a che tutti gli uomini possano avere il cibo necessario, così che tutti possano mangiare, soddisfare questo bisogno primario del corpo; solo che, per l’egoismo umano, troppa parte dei beni materiali viene trattenuta e resta nelle mani di pochi ricchi e benestanti, e una grande massa di persone non ha il sufficiente per vivere.  Ci sono in Italia persone che percepiscono uno stipendio annuo di ottocentocinquantamila euro, settantamila euro al mese; persone che percepiscono uno stipendio annuo di cinquecentomila, di quattrocentomila euro all’anno; somme decisamente esagerate, e immorali, qualsiasi sia il lavoro che queste persone svolgano; a fronte di persone che fanno fatica ad arrivare a fine mese, o versano in condizioni di grave povertà.

Questi sono casi eclatanti e, per così dire, estremi; ma le parole di Gesù: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare; avevo sete e mi avete dato da bere” (Mt 25,35) ci interpellano tutti, e continuamente; interpellano soprattutto noi cristiani, che siamo discepoli di Gesù, del Gesù generoso verso gli uomini.

San Giovanni Crisostomo in un suo sermone disse ai suoi fedeli: “Non condividere con i poveri i propri beni è defraudarli e togliere loro la vita. Non sono nostri i beni in eccedenza che possediamo: sono dei poveri”.

San Gregorio Magno dice: “Quando doniamo ai poveri le cose loro indispensabili, non facciamo loro delle elargizioni personali, ma rendiamo loro ciò che è loro. Più che compiere un atto di carità, adempiamo un dovere di giustizia”.

San Basilio Magno con estrema forza afferma: “Il pane che tieni per te è dell’affamato; i vestiti che conservi nei tuoi armadi sono degli ignudi; la calzatura che imputridisce nella tua casa è di colui che va in giro scalzo. In sostanza tu stai recando offesa a tutti quelli che potresti soccorrere”.

Del resto il Vangelo dice: “Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto” (Lc 3,11). Già l’Antico Testamento esortava: “Non distogliere lo sguardo dal povero, così non si leverà da te lo sguardo di Dio. La tua elemosina sia proporzionata ai beni che possiedi:  se hai molto, da’ molto; se poco, non esitare a dare secondo quel poco. Così ti preparerai un bel tesoro per il giorno del bisogno, poiché l’elemosina libera dalla morte e salva dall’andare nelle tenebre” (Tb 4,7-10).

Alla base di questo dovere di solidarietà sta il principio che la Chiesa nella sua Dottrina sociale afferma con chiarezza e da sempre, il principio della destinazione universale dei beni, cioè il fatto che Dio ha destinato i beni della terra a tutti gli uomini; non solo a pochi, ma a tutti gli uomini; tutti gli uomini devono poter accedere e prendere parte al banchetto dei beni della terra, così da avere il necessario per vivere, e per vivere in dignità. Per questo, chi possiede di più deve occuparsi di chi ha meno, secondo la legge dei vasi comunicanti; o, meglio, secondo la legge della carità; della carità di Cristo.

Il Vangelo ci ha detto che Gesù, dopo aver moltiplicato i pani e i pesci, diede ordine agli apostoli di distribuirli alla gente, e che gli apostoli li distribuirono, non trattennero i pani e i pesci per sé. Le loro mani si aprirono. Anche le nostre mani devono sapersi aprire. C’è l’istinto delle mani ad aprirsi per prendere, per afferrare, per rapire e possedere… No, le nostre mani devono aprirsi per dare, per donare, per essere solidali col povero.

E deve aprirsi soprattutto il nostro cuore, in un sussulto di compassione, sull’esempio del cuore di Gesù. Gesù, vedendo la folla che non aveva di che mangiare, disse: “Ho compassione di questa folla”. La compassione di Gesù diventi la nostra compassione; compassione verso il povero e verso chiunque si trovi in difficoltà; qualsiasi sia la sua difficoltà.

don Giovanni Unterberger

 

 

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