16° Domenica del Tempo ordinario

(Sap 12,13. 16-19;   Rm 8,26-27;   Mt 13,24-43)

Duomo, sabato 19 luglio 2014

Gesù ai farisei e ai dottori della Legge parlava citando le Sacre Scritture; ai suoi discepoli parlava spiegando i segreti della sua persona; alle folle parlava in parabole; a ciascun uditorio secondo il proprio linguaggio, secondo il linguaggio più consono e più comprensibile alle persone che Gesù aveva davanti a sé.

In questo brano di Vangelo ci vengono presentate tre parabole riguardanti il Regno dei cieli.  Il Regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme; il Regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senape; il Regno dei cieli si può paragonare al lievito.

Bastano queste frasi iniziali delle tre parabole per farci capire che Gesù ci sta parlando di un Regno dei cieli che si trova, però, sulla terra. Solo sulla terra, infatti, c’è spazio per la zizzania e per la crescita; solo sulla terra c’è una massa da lievitare. Nel Regno finale nulla di tutto questo; ma solo Dio, che sarà “tutto in tutti” (1Cor 15,28).

La parabola del granellino di senape che diventa un albero indica la crescita del Regno di Dio sulla terra. Alle sue origini esso era davvero un piccolo granellino. Si identificava, infatti, con Gesù stesso, “il grano di frumento caduto in terra morto” (Gv 12, 24). Ma da quel grano caduto in terra nacque una spiga, nacque un popolo intero, la Chiesa. La Chiesa è cresciuta lungo i secoli come un albero gigantesco, e oggi stende i suoi rami in tutto il mondo. Sui suoi rami sono venuti a posarsi popoli interi, divenuti cristiani; e noi stessi siamo nel numero di quegli uccelli venuti ad annidarsi tra i rami del grande albero che è il Regno dei cieli.

La parabola del lievito indica anch’esso la crescita del Regno; ma una crescita diversa: non tanto in estensione, quanto in profondità. Indica la forza trasformatrice che il Regno dei cieli possiede, fino a rinnovare il mondo e fare della massa inerte degli uomini “pane buono”.  Quanti santi, quanti buoni cristiani, infatti, nella Chiesa! nella Chiesa di tutti i tempi!

Queste due parabole furono comprese facilmente dai discepoli. Non così invece la parabola della zizzania; tanto è vero che lasciata la folla, una volta soli in casa, i discepoli chiesero a Gesù: “Spiegaci la paraola della zizzania”. E Gesù a spiegarla.

I due punti fondamentali della parabola sono la pazienza da avere di fronte al male, e l’impegno di essere “buon grano”, perché alla fine ci sarà un giudizio sull’umanità, sull’operato degli uomini.

I servi del padrone del campo avrebbero voluto subito strappare la zizzania. Un’opera di ripulitura del campo sembrava loro la cosa più urgente e più sensata da fare; a beneficio del buon grano, che sarebbe così cresciuto meglio e più al sicuro. Ma il padrone del campo fu di altro parere: “lasciate che grano e zizzania crescano insieme, fino alla mietitura”. Un parere strano, poco comprensibile; ma veniva dal padrone del campo. Non restava che obbedire.

Gli uomini, noi, siamo facilmente portati a voler sradicare il male, ma il male degli altri. Siamo impazienti, ci disturbano i difetti, i limiti; ma, purtroppo, più i difetti e i limiti dei fratelli, che non i nostri. Vorremmo strappare la “zizzania” attorno a noi; vorremmo un mondo bello, pulito, perfetto, attorno a noi.

Il cardinale Giacomo Biffi immagina, in un suo simpatico libretto, che sia stato trovato un ‘quinto vangelo’, il quale riporterebbe i detti di Gesù con delle varianti rispetto ai Vangeli veri, quelli canonici. Dice: “Secondo questo ‘quinto vangelo’ Gesù non avrebbe detto ‘Convertitevi, e credete al Vangelo’, come è riportato nel Vangelo di Marco (Mc 1,15); ma avrebbe detto: ‘Convertite, e fate sì che la gente creda al Vangelo’ ” E il cardinale argutamente commenta, per mettere in evidenza e stigmatizzare la nostra innata tendenza a voler correggere gli altri dai loro difetti: “Che non sia più giusto quanto riporta questo ‘quinto vangelo’? Se ciascuno infatti converte qualche altro, non si arriverà in breve tempo ad avere un mondo convertito? E sarebbe il caso, allora, durante la Messa -continua il cardinale-  al momento del ‘Confesso a Dio onnipotente…’, che invece che ciascuno si batta il proprio petto dicendo: ‘per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa…’, ciascuno battesse il petto del vicino dicendo: ‘per tua colpa, tua colpa, tua grandissima colpa…’. Vi assicuro -conclude il cardinale- che i colpi sul petto del fratello, della sorella, sarebbero molto più forti e più centrati!….”

Ma sappiamo che Gesù invece ha detto: “Convertitevi, e credete al Vangelo”!

Un giornalista chiese un giorno a Madre Teresa di Calcutta: “Madre, secondo Lei, che cosa andrebbe cambiato, che cosa andrebbe migliorato nella Chiesa?” E Madre Teresa rispose lapidaria: “Io, e Lei”.

Il male attorno a noi non è che non vada combattuto; nel Vangelo c’è anche l’impegno della correzione fraterna da esercitare e da mettere in atto (Mt 18,15-18); ma il combattimento contro il male va fatto con la pazienza, con la delicatezza e con la sopportazione di Dio, sapendo che, alla fine, il giudizio e la ripulitura del campo sarà opera sua, e sua soltanto.

A noi l’impegno di essere “buon grano”, di sradicare quella “zizzania” che ci fosse ancora nel nostro cuore, nei nostri comportamenti e nel nostro modo di vivere. Non sarebbe forse già questo un ottimo modo per rendere bello e pulito il campo del mondo? Non ha fatto così san Francesco d’Assisi? non hanno fatto così tutti i santi? non hanno forse percorso la via della propria santificazione e così hanno sradicato “zizzania”?

E ricordiamo sempre che alla fine della storia del mondo ogni “zizzania” sarà condannata; la “zizzania” altrui, ma anche la nostra.

don Giovanni Unterberger

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