19° Domenica del Tempo ordinario

(1Re 9a.11-13;   Rm 9,1-5;   Mt 14,22-33)

Duomo, sabato 9 agosto 2014

Uno dei gesti più belli, più teneri, che danno più sicurezza, è quello di una persona che ti tende la mano; soprattutto se sei in difficoltà: una mamma che tende la mano al suo bambino per fargli attraversare la strada; una persona che tende la mano ad un anziano per aiutarlo a scendere dall’autobus; un amico che stende la mano verso l’amica che sta per partire, e con la mano la saluta. Tendere la mano, che gesto buono!

Gesù tese la mano a Pietro che stava per annegare nel lago di Genezaret. Pietro aveva avuto un grande coraggio a scendere dalla barca e a cominciare a camminare sull’acqua su invito di Gesù; ma a un certo punto gli venne paura e cominciò ad affondare. Gridò aiuto, e Gesù gli stese la mano e lo tenne su. “Uomo di poca fede – gli disse – perché hai dubitato? Ci sono io qui!”

Quante volte l’uomo si trova in situazioni di difficoltà, di problema, di necessità, e gli sembra di dover camminare come sull’acqua (l’acqua non tiene su); ed ha l’impressione di cadere, di affondare, di essere vinto dalla difficoltà, sommerso dall’acqua della prova! Quante volte! Tutti noi abbiamo fatto questa esperienza nel corso della vita. Il Vangelo che l’evangelista Matteo ha preparato per noi oggi (e lo vogliamo ringraziare), Vangelo di Pietro salvato da morte da Gesù che gli tese la mano sul lago, ci sprona a ci invita ad avere fede in Dio. Il Signore è continuamente “mano tesa” verso di noi; è continuamente rivolto ad aiutarci, a salvarci, a sostenerci.

Recentemente mi sono imbattuto nel racconto della vita di Sant’Elisabetta di Portogallo, vissuta nel 1200-1300. Sant’Elisabetta aveva solo dodici anni quando da suo padre, Pietro III di Aragona, fu data in sposa a Dionigi, re del Portogallo. Dionigi era uomo capace e di governo, ebbe molti meriti nei confronti dei suoi sudditi; ma era un pessimo marito, sempre impelagato con donne di corte e padre via via di altri figli, oltre ai due avuti da Elisabetta. Ed Elisabetta, malgrado le continue offese e i tradimenti del marito, gli restò totalmente fedele, tutta dedita ai figli Alfonso e Costanza. Ma ella non solo si prese cura dei figli propri, si prese cura anche dei bambini messi al mondo dal marito con altre donne, esercitando una virtù cristiana straordinariamente grande. Fu dal marito esiliata, perché sospettata ingiustamente di favorire un figlio contro di lui, mentre ella cercava di riconciliare il figlio con il padre. Col passare del tempo Dionigi riconobbe la virtù e la bontà di Elisabetta, la richiamò a sé, e, caduto ammalato, fu da lei premurosamente e affettuosamente assistito fino alla morte.

Ci domandiamo: come avrebbe potuto Elisabetta, con le sole sue forze, affrontare e vivere una vicenda così dura senza affondare, senza venire meno? Il Signore Gesù le tese la mano, la fece camminare come sull’acqua, e non permise che soccombesse, che si perdesse.

Interessante è il fatto che sant’Elisabetta non ebbe nella sua vita visioni, apparizioni, fenomeni mistici particolari che la sostenessero, che la consolassero, che la rafforzassero. Il Signore le fu vicino e le tese la mano in modo molto comune, normale, silenzioso. Un po’ come accadde al profeta Elia di cui ci ha raccontato la prima lettura: Dio ad Elia non si presentò e non si fece riconoscere nel vento impetuoso, nel terremoto, nel fuoco ardente che bruciava tutto, ma si rese presente e si fece riconoscere nel “sussurro di una brezza leggera”. Nel silenzio, nel poco, nell’insignificante.

Ecco la sfida alla nostra fede: credere che Dio è “mano tesa” per noi, è forza che sorregge, è presenza che non abbandona, è cuore vigile e attento che aiuta, che soccorre; e lo è in ogni momento, in ogni istante. Non c’è momento, non c’è istante in cui la sua mano non sia tesa verso di noi. E lo è nel quotidiano, nel normale, nel fluire silenzioso e, per così dire, monotono, del tempo.

Non cerchiamo il sensazionale, non cerchiamo l’intervento miracoloso, il Dio dei portenti…; Dio ci è accanto sempre, in umiltà e silenzio, ma con potenza. “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?” – disse Gesù a Pietro – “Sono qui io, non andrai a fondo!”.

La cosa che spetta a noi fare, oltre che credere alla “mano tesa” di Dio verso di noi, è afferrare quella mano, è aggrapparci a quella mano. Pietro si aggrappò alla mano di Gesù, e fu salvo.

Noi ci aggrappiamo alla mano di Gesù con la preghiera, col ricorso confidente a lui, con i sacramenti; ma, prima ancora, e come prima mossa del cuore, ci è chiesta la fede e la certezza che la “mano tesa” di Gesù c’è, ed è tesa verso di noi sempre. “Signore, aiuta la nostra fede!”

don Giovanni Unterberger

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