24° Domenica dopo Pentecoste

(Col 1,9-14;   Mt 24,15-35)

23 novembre 2014

Con i tratti tipici del linguaggio giudaico apocalittico, il Vangelo ci ha parlato della fine del mondo e della fine della storia. Sconvolgimenti in cielo: sole che si oscura, stelle che cadono; sconvolgimenti sulla terra: grande tribolazione, profanazione del tempio, falsi profeti che distolgono dal bene e dal vero; angeli che suonano la tromba e svegliano i morti radunandoli attorno a Cristo; Cristo che appare sulle nubi del cielo col suo segno vittorioso, la croce.

Sono immagini mutuate dalla letteratura giudaica per indicare una verità certa: questo ordine di cose in cui noi ora viviamo e siamo immersi finirà, non è eterno. Una nuova realtà inizierà e sorgerà; nuova realtà che il libro dell’Apocalisse descrive così: “Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più. E Colui che sedeva sul trono disse: Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Apoc 21,1. 5).

Con quale sguardo dobbiamo guardare allora a questo mondo? Il mondo è una realtà meravigliosa; il creato è opera stupenda! Quante volte siamo rimasti incantati di fronte a spettacoli della natura che ci hanno portati tutto d’un tratto nel regno della contemplazione! Eppure questo mondo non è definitivo, non è la casa ultima per cui siamo fatti. Dice la lettera agli Ebrei: “Non abbiamo qui una città stabile, ma siamo diretti ad una città futura” (Ebr 13,14). Parole a cui fa eco san Paolo che dice: “La nostra patria è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo” (Fil 3,20). Aspettiamo il Signore Gesù Cristo…..

Davvero lo aspettiamo? lo aspettiamo con gioia? o quasi quasi faremmo a meno di quell’incontro? Temiamo quell’incontro? abbiamo paura di incontrare il Signore? Perché ne abbiamo paura? Forse perché vogliamo poco bene a Gesù? Sant’Agostino in un suo sermone si rivolse così ai suoi cristiani: “Che sorta di amore per Cristo sarebbe il temere che egli venga? Fratelli, non ci vergogniamo? Lo amiamo e temiamo che egli venga! Ma lo amiamo davvero o amiamo di più i nostri peccati? Ci si impone perentoriamente la scelta. Se vogliamo davvero amare colui che deve venire per punire i peccati, dobbiamo odiare cordialmente tutto il mondo del peccato” (S. Agostino, Commento ai salmi).

E’ quanto ci invita a fare san Paolo con altre parole. Nell’epistola abbiamo sentito l’apostolo dire: “Non cesso di pregare
per voi perché vi comportiate in maniera degna del Signore, per piacergli in tutto, portando frutto in ogni opera buona”
. Ecco ciò che dobbiamo fare: comportarci in maniera degna del Signore, cercando di piacergli in tutto.

Questa è l’essenza della vita cristiana; questa è l’essenza del rapporto con Dio: piacergli in tutto. Non è questa, del resto, anche la sostanza dei rapporti tra di noi? Non sta tutto nel cercare di farci reciprocamente ciò che ci è vicendevolmente gradito? nel bene, evidentemente.

Piacere al Signore è la disposizione che ci permetterà di non avere paura un giorno, nell’ultimo giorno, di incontrare il Signore. Egli ci accoglierà, ci aprirà le braccia, ci dirà: “Vieni, amico; vieni, figlio, figlia; “ti ho amato di amore eterno” (Ger 31,3); “ti ho portato come un uomo porta il proprio figlio, per tutto il cammino che hai fatto” (Dt 1,31); “tu mi sei prezioso” (Is 43,4); per te “da ricco che ero mi sono fatto povero, e ti ho arricchito di me stesso” (2Cor 8,9); per te mi sono incarnato e ho dato la vita sulla croce; entra nella gloria del tuo Signore!”

Sì, vogliamo in ogni cosa e in ogni istante di vita piacere al Signore; allora lo sconvolgimento del mondo e la fine della storia non ci turberanno, non ci faranno paura. Con san Paolo esclamiamo: “Siamo sempre pieni di fiducia e sapendo che finchè abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore, camminiamo nella fede e non ancora in visione. Siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo ed abitare presso il Signore. Perciò ci sforziamo sia dimorando nel corpo sia esulando da esso, di essere a lui graditi” (2Cor 5,6-9).

Cercheremo, in quest’ultima settimana dell’anno liturgico, di piacere a Dio.

don Giovanni Unterberger

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