27° Domenica del Tempo ordinario 2017 (forma ordinaria)

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Is 5, 1-7;   Fil 4,6-9;   Mt 21,33-43

Duomo di Belluno, sabato 7 ottobre 2017

 

Amore disatteso è l’amore di Dio; amore trascurato, lasciato cadere, non corrisposto. “Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna -al mio popolo- che io non abbia fatto?”, grida il Signore deluso. “Perché, mentre attendevo che producesse uva, essa ha prodotto acini acerbi?”.

E’ un rapporto sofferto quello di Dio con l’uomo; è un rapporto di amore-dolore; un rapporto ferito. Molte sono le ingratitudini e le offese dell’uomo a quell’amore. Gesù, apparendo nel 1675 a santa Margherita Maria Alacoque, e mostrandole il suo cuore, disse: “Ecco quel cuore che ha tanto amato gli uomini e che nulla ha risparmiato  fino ad esaurirsi e consumarsi, e che non riceve dalla maggior parte di essi se non ingratitudini, irriverenze e freddezze”.

L’Antico Testamento è tutto percorso dal lamento di Dio, il lamento di un amante che non si sente riamato. Nel libro del profeta Isaia Dio si dice meno considerato di quanto il bue e l’asino considerino il loro padrone: “Ho allevato e fatto crescere figli, ma essi si sono ribellati contro di me. Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone, ma Israele non mi conosce e il mio popolo non mi comprende” (Is 1,2-3). Nel libro del profeta Geremia Dio dice: “Si dimentica forse una ragazza dei suoi ornamenti, una sposa della sua cintura? ( Quanta cura prima di uscire di casa nel prepararsi…). Eppure il mio popolo mi ha dimenticato per giorni innumerevoli. Come sa ben scegliere la via in cerca di altri amori!” (Gr 2,32-33). E nel libro del profeta Osea Dio si lamenta così: “Quando Israele era giovinetto (l’allusione è ad Israele in Egitto), io l’ho amato, e dall’Egitto ho chiamato mio figlio. Ma più li chiamavo, più si allontanavano da me; immolavano vittime ai Baal, agli idoli bruciavano incensi. Io gli insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare. Ma il mio popolo, chiamato a guadare in alto, nessuno sollevava lo sguardo verso di me” (Os 11,1-4. 7).

Dio soffre; Dio patisce; fino a piangere. In Gesù davanti a Gerusalemme, in Gesù davanti a quella città tanto amata e che restava chiusa alla visita del suo Figlio inviato a salvarla, Dio pianse. Non possiamo prendere alla leggera il nostro rapporto con Dio. Il suo cuore è sensibile, infinitamente sensibile; e quanto grande e intenso è il suo amore per l’uomo (la Bibbia ce lo dice, ci dice che quell’amore è arrivato fino alla croce), altrettanto grande e intenso è il dolore di Dio quando noi lo offendiamo, quando noi lo dimentichiamo, lo trascuriamo, siamo freddi verso quell’amore, e viviamo come non fossimo amati.

“Avranno rispetto per mio figlio”, disse il padrone della vigna, nella parabola che Gesù ci ha raccontato. E’ il grido, il desiderio, la speranza di Dio. Dio desidera, ha bisogno che noi lo amiamo. E’ un mistero, un mistero che noi non riusciamo a comprendere, ma che è vero ed è realtà: da un lato Dio è infinitamente felice e la sua felicità non può essere messa a rischio da nulla, e dall’altro lato Dio soffre ed è infelice quando noi andiamo per le nostre strade lontano da lui. Non avrà forse sofferto il padre del figliol prodigo, cioè Dio, nel vedere il suo figlio andarsene via di casa? (cfr Lc 15,11-13).

“Avranno rispetto per di mio figlio” è la parla che noi vogliamo cogliere oggi dal Vangelo, e a questa parola desideriamo dare risposta. Rispetteremo il Signore. Lo rispetteremo nella sua Parola, nell’Eucaristia, nel fratello, negli avvenimenti della vita con cui egli ci raggiunge e ci educa. E non solo lo rispetteremo, ma lo ameremo, corrisponderemo al suo amore noi, ‘vigna’ da lui tanto curata. Non vorremo che egli abbia più a lamentarsi e a soffrire per noi.

don Giovanni Unterberger

 

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