Giovedì Santo

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(Es 12,1-8. 11-14;   1Cor 11,23-26;   Gv 13,1-15)

29 marzo 2018

 

La sera dell’Ultima cena, Gesù, sapendo di essere alla vigilia della morte, fece testamento. Non lasciò beni materiali agli apostoli; lasciò un’esortazione: “Lavatevi i piedi gli uni gli altri”, cioè ‘vogliatevi bene’. E’ l’esortazione che ogni padre, ogni madre di famiglia farebbe ai propri figli prima di morire: ‘Vogliatevi bene!’

Il volersi bene, il volere ciascuno il bene dell’altro, è il segreto per vivere sereni e nella pace. Anzitutto vuol dire ‘non farsi del male’. ‘Mia preoccupazione -dovrebbe dire ciascuno- è di non far soffrire chi ho vicino, chi incontro. Non farlo soffrire; non trattarlo male; non trattarlo con durezza, con superiorità, con egoismo, con autosufficienza’. Ogni persona è un cristallo delicato; è un’anima bisognosa di tratti gentili, parole buone, gesti di comprensione e di affetto. Se al risveglio del mattino ognuno dicesse: ‘Oggi non voglio far soffrire nessuno’, e questa fosse la preoccupazione costante di tutta la giornata, e si stesse costantemente vigili sui propri pensieri, sulle proprie parole, sui propri gesti perché non avessero ad offendere e a rattristare nessuno, come sarebbero belli i rapporti, quanto buone le relazioni, quanto diverso il mondo da com’è! ‘Vogliatevi bene!’, dice Gesù; e il primo gradino del voler bene è non far soffrire il fratello, la sorella.

Il testamento che Gesù ci ha lasciato è ancora più ricco e più prezioso. In testamento egli ha lasciato nientemeno che se stesso, la sua persona, viva, ciò che nessun padre e nessuna madre può lasciare in testamento. Quella sera Gesù ci ha lasciato l’Eucaristia; nel pane e nel vino consacrati è presente lui. Il Catechismo ci ricorda le tre condizioni necessarie per fare bene la santa Comunione e riceverla degnamente: essere in grazia di Dio, cioè non avere peccati gravi sull’anima; essere digiuni da almeno un’ora; e avere consapevolezza di chi si va a ricevere. Si va a ricevere il Signore, il creatore del mondo, colui che è eterno, infinito, onnipotente, onnisciente; colui che conserva ogni cosa nell’essere; colui che è morto in croce per noi; colui che sarà il nostro giudice.

Con quanta devozione occorre fare la Comunione! Con quanta fede! Non si va ad accogliere uno qualsiasi; si va ad accogliere Dio. Come si dovrebbe già pensare il giorno prima, il sabato: ‘Domani farò la Comunione’; e come ci si dovrebbe ricordare, almeno fino al giorno dopo, il lunedì; ‘Ieri ho fatto la Comunione’!

Il testamento che Gesù ci ha lasciato la sera del giovedì santo aveva e conteneva ancora un dono: il Sacerdozio. Dopo aver trasformato il pane nel suo corpo e il vino nel suo sangue, Gesù disse agli apostoli: “Fate questo in memoria di me”; diede loro il potere di fare quanto aveva fatto lui; li fece sacerdoti. Quella sera Gesù istituì due dei sette Sacramenti: l’Eucaristia e il Sacerdozio. Il Sacerdozio fa sì che l’Eucaristia venga continuamente celebrata, che del pane e del vino vengano continuamente trasformati nel Corpo e nel sangue di Gesù; che Gesù resti continuamente presente in mezzo al suo popolo.

Grande è la dignità del sacerdote! Al sacerdote i fedeli devono guardare con stima e riverenza, con fede, perché in quella persona sono presenti, posti dal Signore, doni e poteri divini. San Francesco ebbe a dire: “Se lungo la strada io incontrassi insieme un angelo e un sacerdote, saluterei prima il sacerdote, e poi l’angelo, perché il sacerdote è un ministro dell’Altissimo Iddio”. Conserviamo la fede nel sacerdote; non dimentichiamo chi e gli è.

E ringraziamo il Signore in questa sera e in questa Messa, che ci fa rivivere e ci rende presente il primo giovedì santo; ci fa memoria del grande e prezioso testamento di Gesù.

don Giovanni Unterberger

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