3a domenica dopo Pasqua (forma straordinaria)

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(1 Pt 2,11-19;   Gv 16,16-22)

Belluno, chiesa di s. Pietro, 22 aprile 2018

 

Il tempo pasquale è tempo di vita ‘da risorti’. Il Cristo risorto ci coinvolge nella sua vita nuova. In questa vita nuova c’è qualcosa che è necessario ripudiare, e c’è qualcosa a cui è necessario aderire. Di particolare indicazione e sprone, a questo riguardo, è l’orazione di Colletta della Messa di oggi. Essa si rivolge a noi cristiani; dice: “O Dio, che agli erranti mostri la luce della verità, affinché possano tornare sulla via della giustizia, concedi a quanti si professano cristiani…”, e dice ciò che coloro che si professano ‘cristiani’ sono chiamati a fare.

Noi ci professiamo ‘cristiani’; ma cosa significa, e cosa comporta, professarsi ‘cristiani’? Chi è il ‘cristiano’? La domanda è semplice, e semplice è la risposta. La risposta è addirittura contenuta nella domanda, per cui non ci si può sbagliare: nella parola ‘cristiano c’è la parola ‘Cristo; ‘cristiano’, dunque, è colui che si rifà a Cristo, colui che ha e tiene presente a sé Cristo, colui che fa di Cristo il riferimento del proprio pensiero, delle proprie azioni e scelte, della propria vita.

Cristo davanti a tutto, Cristo in cima a tutto; niente senza Cristo. Niente senza Cristo, perché se penso o faccio qualcosa ‘senza Cristo’, cioè in modo differente da Cristo, in quel momento io non sono ‘cristiano’. L’essere ‘cristiano’, vivere da ‘cristiano’, comporta che io viva come Cristo vuole e chiede. “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù”, scrive san Paolo ai Filippesi (Fil 2,5). E parlando di sé, l’apostolo dice: “Per me vivere è Cristo” (Fil 1,21); “Non sono più io che vive, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio (cioè in rapporto col Figlio di Dio), che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20). E l’apostolo Giovanni, dal canto suo, afferma: “Chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato” (1Gv 2,6). ‘Cristiano’ e Cristo sono due realtà comunicanti; in un certo senso son una sola, unica, realtà: una vite che ha dei tralci, e dei tralci che sono innestati in una vite (cfr Gv 15,1-6).

Che cosa devono fare allora, coloro che si professano ‘cristiani’? “Ripudiare ciò che è contrario a questo nome e abbracciare quanto è ad esso conforme”, dice l’orazione di Colletta. C’è qualcosa che deve essere ripudiato, respinto: è il peccato, è lo spirito del mondo. Gesù, nell’ultima sera della sua vita, nel cenacolo, pregò così per i suoi:”Padre, custodiscili nella verità. Essi sono nel mondo, ma non sono del mondo. Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno” (Gv 17,11. 15). Il cristiano è ‘nel’ mondo, ma non è ‘del’ mondo; non appartiene al mondo nel senso che, pur vivendo nel mondo, non vive secondo lo spirito del mondo, secondo il pensiero del mondo, secondo le voglie del mondo, secondo le sue brame e la sua concupiscenza. Il cristiano si guarda dalla corruzione che c’è nel mondo, e non si lascia da essa intaccare e influenzare. Abbraccia invece ciò che è conforme al nome cristiano, e cioè la dottrina di Gesù, il pensiero di Gesù, il modo di vivere di Gesù. Il cristiano è un ‘piccolo Gesù’.

E cosa bella, e da tenere presente, è che io posso ogni giorno diventare sempre un po’ più ‘cristiano’, sempre un po’ più somigliante a Gesù; così come -cosa da temere- potrei anche diventare sempre meno ‘cristiano’, sempre meno somigliante a Gesù, se mi allontanassi da lui, se non ascoltassi la sua voce e non facessi la sua volontà.

L’orazione di Colletta di oggi ci fa chiedere, quindi, una cosa straordinaria: “Signore, fammi ‘cristiano’, fammi sempre più ‘cristiano’, Voglio essere ‘cristiano’, ed esserlo davvero, non solo professarmi tale, Aiutami con la tua grazia!”.

don Giovanni Unterberger

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