13a domenica del Tempo Ordinario (forma ordinaria)

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(Sap 1,13-15; 2,23-24;   2 Cor 8, 7.9.13-15;   Mc 5,21-43)

Duomo di Belluno, sabato 30 giugno 2018

Una donna che da lungo tempo soffriva di perdite di sangue si avvicinò a Gesù per toccargli il mantello; un capo-sinagoga cercò Gesù per pregarlo che gli guarisse la figlia: due persone sofferenti, due persone in difficoltà. Come avranno guardato, istintivamente, quelle due persone alla propria difficoltà? Non certo in modo benevolo, non certo con occhio positivo. Come si fa a guardare con occhio positivo una difficoltà, un problema, un qualcosa che ci fa soffrire? Eppure…

L’esito di quella difficoltà fu che quelle due persone ricorsero a Gesù, incontrarono Gesù, e da lui ricevettero salvezza. E non sappiamo poi -perché il Vangelo non ce lo dice- che cosa può aver significato per l’emorroissa e per il capo-sinagoga, per il resto della loro vita, l’essere ricorsi a Gesù, averlo incontrato. Di certo quell’incontro non avrà loro procurato solo una salvezza materiale -la guarigione, la risurrezione della figlia-, ma avrà dato un senso nuovo a tutto il loro esistere. Da quel giorno quelle persone saranno state diverse. Chissà, forse si sono fatte discepole di Gesù, e forse sono arrivate a guardare con occhio nuovo la situazione di sofferenza in cui si erano venute a trovare; l’avranno vista e sentita non come una nemica, ma come un’opportunità. Era stata l’occasione per incontrare il Signore.

Dentro il cuore dell’uomo ci sono cose belle, ma anche insoddisfazione, sofferenze, paure, tristezze. L’uomo si trova alle volte in situazioni difficili, che non vorrebbe vivere. Come guardare a ciò? Come a un nemico? o come a un’opportunità? cioè come a qualcosa che ci spinge e può portarci verso il Salvatore? Tutto può essere opportunità. E spesso lo è di più ciò che ci fa soffrire, ci disturba e ci inquieta.

“Sono triste, insoddisfatto, deluso per tante cose, e deluso magari anche dalle persone più care che più dovrebbero darmi amore? Potrei lasciarmi sopraffare da tali situazioni, lasciarmi tenere irretito in esse, e vivere triste, depresso, arrabbiato; oppure posso proprio partire da quelle situazioni per fare un passo avanti, per dirmi: ‘Non sono le cose di quaggiù, non sono le cose di questa terra, che bastano a farmi felice; il mio cuore ha profondità, dimensioni e desideri più grandi, desideri di infinito, che solo Dio, che solo Cristo, può soddisfare; e allora vado da lui, cerco lui, vado da Cristo, come sono andati da Cristo l’emorroissa e il capo-sinagoga’.”

L’emorroissa aveva peregrinato da un medico all’altro, ma la guarigione la trovò da Gesù, la ricevette da lui. E’ Gesù il vero medico, colui che può medicare certe ferite, lenire certe sofferenze, aiutare a portare certi pesi. Il senso della vita è lui.

Se una situazione, faticosa, mi aiuta ad andare dal Signore e mi apre a lui, quella situazione mi è stata amica; poteva essere un gradino in cui inciampare, e invece è stata un gradino che mi ha portato più in alto, mi ha fatto salire. Incontrando Cristo si incontra la vita, si incontra la risposta.

“Tutto concorre al bene, per coloro che amano Dio”, afferma san Paolo (Rm 8,28). Ci dia il Signore di avere uno sguardo buono e positivo su ogni circostanza della nostra vita; di saper leggerla come un’opportunità e una sollecitazione a cercare Dio, ad andare da lui, e avere salvezza.

don Giovanni Unterberger

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