Domenica di Sessagesima (forma straordinaria)

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(2 Cor 11,19-33; 12,1-9;    Lc 8,4-15)

Belluno, chiesa di s. Pietro, 24 febbraio 2019

Questo brano di Vangelo inizia con una nota che è solo di introduzione, e non contiene l’essenza, il ‘cuore’, del brano, ma che tuttavia ha un suo significato e ha qualcosa di bello da dirci. Il brano comincia così: “In quel tempo, poiché una grande folla si radunava, e accorreva a lui gente da ogni città, Gesù disse una parabola…”.

A Gesù accorreva gente da ogni città, da ogni luogo; in altri passi del Vangelo si dice che a lui accorreva gente da Gerusalemme e da tutta la Palestina, dall’Idumea, dalla Transgiordania, e perfino da territori pagani, quali quelli delle città di Tiro e di Sidone (cfr Mc 3,8). Tutti accorrevano per ascoltarlo e per incontrarlo.

Queste persone non solo provenivano da luoghi diversi, ma chissà quanto saranno state diverse tra di loro, l’una dall’altra: giovani e vecchi; uomini e donne; ricchi e poveri; sani e malati; persone serene e persone sofferenti; gente buona e gente meno buona; persone con un passato di virtù e persone con un passato di peccato; persone forse ancora in situazione di peccato. E Gesù accoglieva tutti: non faceva interrogatori, non rovistava nella vita delle persone, non poneva precondizioni per poter andare a lui.

Anche noi: andiamo a lui come siamo; niente deve impedirci di accostarlo e di avvicinarlo, se desideriamo ascoltarlo con cuore aperto, e accogliere con disponibilità la sua parola, la sua persona.

Gesù, senza pregiudizi nei confronti di nessuno, cominciò a raccontare di un seminatore che uscì a seminare, e seminava dappertutto, gettava il seme sui terreni più diversi; non solo sul terreno buono e dissodato, ma anche tra i rovi e perfino sulla strada. Chi era mai quel seminatore? Era lui stesso; lui, l’inviato dal Padre a portate nel mondo la parola di salvezza, la salvezza stessa. Gesù, nel suo dono, non aveva preclusioni; non stava a giudicare se un cuore fosse buono, aperto, disponibile, pronto ad accogliere ciò che lui andava dicendo, o se invece fosse un cuore chiuso e refrattario. Gesù aveva fiducia; egli ha fiducia in ogni uomo; vuole parlare a tutti.

Anche se il campo del nostro cuore fosse stato fino ad oggi, e fosse ancora, duro come la strada battuta; fosse pieno di rovi e spine, cioè colmo di passioni disordinate, Gesù non cesserebbe, e non cessa, di seminarvi la sua parola, di farci giungere i suoi richiami, i suoi inviti a conversione e a salvezza. Gesù ha fiducia in noi, spera nella nostra buona volontà, confida in una nostra apertura che lo accolga. E’ ostinato, il Signore. C’è un libretto di filastrocche che ha come titolo “Il grande cocciuto”, e parla di Gesù. Gesù è il grande cocciuto che non si arrende, non si stanca di cercarci e di inseguirci; ha fiducia nella nostra persona, nel grande cammino di virtù e di santità che, con la sua grazia, noi possiamo fare.

Questa sua fiducia ci commuove e ci conquista, ci fa capitolare, perché è puro amore; è amore che non guarda se siamo degni, buoni e bravi, e non condiziona i suoi doni al fatto se siamo degni, buoni e bravi, ma ci vuole bene comunque, e non cessa di gettare nel nostro cuore e nella nostra vita il suo buon seme. Noi, per quel seme, vorremo essere terreno buono, così da  permettergli di portare frutto cento volte tanto, come dice il Vangelo.

don Giovanni Unterberger

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