2^ domenica di Quaresima (forma ordinaria)

Giovanni Bellini – Trasfigurazione di Cristo – 1478-1479

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(Gn 15,5-12.17-18;   Fil 3,17-4,1;   Lc 9,28b-36)

Duomo di Belluno, 17 marzo 2019

Ci sono esperienze che si vorrebbero poter trattenere per sempre: momenti straordinari, ricchi, pienamente appaganti; istanti dolci, soffusi di affetto e di comunione. Tutti noi ne ricordiamo qualcuno.

“Maestro, è bello per noi stare qui!”, esclamò estasiato Pietro sul Tabor, alla vista di Gesù trasfigurato. Gesù non gli sembrò quasi più lui: aveva un che di sovrumano, di divino; il volto splendente come il sole, le vesti bianche sfolgoranti di luce; accanto a lui Mosè ed Elia, il grande condottiero e il grande profeta, a fargli corona! “Se vuoi, Maestro, facciamo qui tre tende -continuò Pietro- una per te, una per Mosè e una per Elia; era il desiderio di fermare il tempo, di rendere eterno quel momento magico.

Ma poco dopo tutto cessò: la visione svanì, Mosè ed Elia si dileguarono, Gesù stava lì davanti ai tre apostoli come sempre; non più luminoso e splendente, ma il Gesù ‘feriale’, di tutti i giorni. E gli apostoli avrebbero dovuto riprendere la vita solita, scendere dal Tabor e addentrarsi addirittura, non molto tempo dopo, nel Getsemani. Ma pur sempre con Gesù.

La vita cristiana conosce momenti speciali di particolare esperienza di Dio. L’anima si sente vicina al Signore, inondata della sua luce, della sua presenza; avverte una dolcezza e una soavità nella mente e nel cuore che non sono umane, non sono di quaggiù, ma vengono da Dio: “quia te contemplans totum dèficit”, canta l’autore dell’inno eucaristico ‘Adoro te devote’: “contemplando te, Gesù, tutto viene meno”, tutto scompare; e l’anima sente di non avere bisogno di altro, perché il Signore le basta.

Sono momenti di ‘Tabor’; ma sono ‘momenti’; non sono la normalità. La normalità è un cammino faticoso; non dentro chissà quale luce, ma piuttosto, spesso, nella nebbia; non con chissà quali consolazioni, ma piuttosto, spesso, nell’aridità. Ma Gesù non è assente, non abbandona. A Gabrielle Bossis, mistica francese morta nel 1950, Gesù disse: “Tu non mi senti sempre allo stesso modo, ma l’oscurità non t’impedisca di camminare. Diventa umile e cammina fedelmente. Cammina. Tu non mi vedi. Tu non mi senti, ma io sono qui, amore totale che tende le braccia verso di te. Nulla sulla terra mi distrae da voi. Le idee, i pensieri degli uomini sono brevi e mi si giudica allo stesso modo… Io sono l’Essere stabile, quello che non cambia. Sono la presenza. Sono lo sguardo. Sono colui che contiene tutto. Sono l’istante e sono l’eternità, Sono colui che chiama; tu sii la risposta” (‘Lui e io’, pag. 51).

La vita sulla terra è una vita nella fede; di tanto in tanto il ‘Tabor’, ma solitamente la fede, la fiducia e la certezza che Dio c’è, che Dio sa, che Dio vede. Che il Figlio suo Gesù non è lontano da noi, ma ci è vicino e presente. Appoggiato su questa presenza, il credente cammina, trova la forza per ogni difficoltà e dolore; trova fiducia e speranza.

Pietro, Giacomo e Giovanni, scesi dal Tabor, avevano ancora Gesù con loro. Anche noi abbiamo Gesù con noi, mai abbandonati, mai dimenticati da lui.

don Giovanni Unterberger

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