21^ domenica dopo Pentecoste (forma straordinaria)

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(Ef 6,10-17;   Mt 18, 23-35)

Belluno, chiesa di s. Pietro, 3 novembre 2019

Perché mai il servo non seppe condonare il debito al suo compagno? Probabilmente si trovava in situazione di difficoltà economica egli stesso, tanto da aver contratto a sua volta un grosso debito nei confronti del re, e quei trecento denari gli potevano essere necessari. Inoltre, forse, non aveva un cuore generoso…; fatto sta che afferrò per il collo il suo compagno e arrivò fino a farlo mettere in prigione. Ma la parabola ci suggerisce un altro motivo, più profondo dei due appena indicati, e cioè il fatto che quel servo non seppe rendersi conto di quanto generosamente era stato trattato dal re. Gli erano stati condonati diecimila talenti! Diecimila talenti corrispondevano a quasi 343 tonnellate di metallo prezioso, erano pari alla paga di 60 milioni di giornate lavorative  (200 mila anni di lavoro!). Quel servo non sarebbe mai riuscito a restituire una tale somma! Gesù nella parabola si compiace di mettere in campo una cifra tanto alta, impossibile da assolvere. Essa indica simbolicamente il nostro debito nei confronti di Dio. Ci domandiamo: è davvero così grande il nostro debito verso del Signore? Ed è possibile che noi non ce ne rendiamo conto?

Riflettiamo. Io esisto, ma non esisto da me, non sono io a darmi l’esistenza: l’ho ricevuta; anzi, la ricevo ad ogni istante, in questo momento; momento per momento Dio mi fa esistere. Io ho dei famigliari, dei parenti, degli amici, delle persone che mi vogliono bene: queste persone Dio le conserva continuamente in esistenza, e me le dona, me le regala di continuo. Non gli sono forse debitore? Ogni mattina spunta la luce e ogni sera viene la notte; si susseguono le stagioni; la terra dà i suoi frutti, i più vari e i più benefici. Non cresce ogni giorno il mio debito verso il Signore?

E non è tutto. Egli si è inventato (invenzione d’amore!) di venire tra noi. Ha pensato: ‘gli uomini non mi conoscono, io sono troppo in su e troppo mistero per loro; potrebbero pensare che io sia un Dio che non si interessa di loro, un Dio addirittura cattivo di cui avere paura; e allora mi farò uomo, e farò loro vedere quanto sono buono e quanto li amo’. Non gli siamo forse debitori per un gesto di tale portata? Lo meritavamo? E l’Eucaristia. Meritavamo che egli restasse sempre presente nei tabernacoli delle nostre chiese, lui in persona?

Ma c’è di più. C’è ancora qualcosa che fa aumentare il nostro debito, e a dismisura, verso il Signore: sono i nostri peccati. Dio ci ha dotati di intelligenza, di volontà, di un corpo, e noi spesso usiamo questi doni per offenderlo, per andare contro la sua legge, per ribellarci a lui. Ciò che doveva essere usato per servirlo, diventa strumento di male e di peccato. Quanti peccati! Quanto debito!  Diecimila talenti sono meno di quanto noi dobbiamo al Signore, ed egli continuamente ci condona il debito. Anzi, non solo ci condona il debito, ma vi aggiunge sempre nuovi doni. Fa di più di quanto ha fatto il re della parabola nei confronti del suo servo debitore.

E noi siamo come quel servo: non ci rendiamo conto della bontà e gratuità con cui siamo trattati. La nostra attenzione, come quella del servo, anziché restare ferma sul condono ricevuto, si fissa sul debito che il fratello ha con noi. Passiamo dai diecimila talenti condonati ai trecento denari che ci spettano. I trecento denari fanno oscurare e dimenticare i diecimila talenti! Il male è che, purtroppo, non abbiamo ancora capito quanto siamo debitori a Dio e quanto ci venga perdonato. Se davvero lo capissimo, sarebbero i diecimila talenti ad oscurare i trecento denari, e non viceversa. E noi, stupiti e commossi del perdono ricevuto, diventeremmo a nostra volta capaci di perdonare.

Ci dia il Signore la grazia di comprendere quanto grande sia la misericordia che ci usa, così che diventiamo anche noi misericordiosi.

don Giovanni Unterberger

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