20^ domenica del tempo ordinario (forma ordinaria)

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(Is 56, 1.6-7;   Rm 11,13-15.29-32;   Mt 15,21-28)

Duomo di Belluno, 16 agosto 2020

A scuola, oggi, con questo Vangelo, da Gesù e da una donna pagana. Gesù è sempre illuminante. “Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele”, egli dice; e “Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”, intendendo per ‘figli’ gli ebrei, e per ‘cagnolini’ i pagani. Gesù si mostra uomo della tradizione.

Il disegno di Dio era stato di scegliersi, tra tutti i popoli della terra, un popolo particolare, il popolo ebraico, e ad esso rivelarsi particolarmente, con esso intrattenere un dialogo speciale, ad esso offrire cure di salvezza in qualche modo uniche. Pensiamo alla lunga e salutare serie di profeti inviatigli. Gesù nasce ebreo, riceve dal Padre un compito di salvezza, e sente che quella salvezza egli la deve portare anzitutto al popolo scelto da Dio, al popolo di Israele; sente di dover rimanere in quella tradizione, in quell’alveo: i primi destinatari della salvezza, per volere di Dio, sono gli ebrei. Questo è il senso delle sue parole: “Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele”, e “Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”.

Ma Gesù non resta chiuso nella tradizione, la apre al nuovo; liberando dal demonio la figlia della cananea, porta la salvezza anche a una persona pagana, a una persona oltre il popolo di Israele. Gesù si manifesta uomo della tradizione e, insieme, della novità.

Esempio e indicazione per noi, specialmente oggi. Immersi in un mondo che cambia vertiginosamente, ci possiamo sentire travolti. Occorre essere aperti al nuovo; l’uomo è vivo, e la vita è movimento, la storia cammina; non è posizione ragionevole voler rimanere ostinatamente attaccati al passato in tutte le sue forme ed espressioni; le forme possono cambiare. Ma, insieme, è necessario guardarsi dal voler cambiare tutto, dalla smania di fare tutto nuovo, tutto diverso, perché quello fatto e vissuto fino ad ora non avrebbe più senso né valore. Ci sono nella tradizione beni e valori che sono perenni e di sempre; valori che nessun cambiamento può e deve mutare, pena fare il male dell’uomo. Sono ‘sostanza’ e non ‘forma’. E riguardo, poi, alle ‘forme’, antiche e nuove che siano, se sono buone le une e anche le altre, perché non accoglierle tutte, e lasciarle convivere? Così che si viva in pace tra noi, pur nella differenza delle forme? Uomini della ‘novità’ e insieme della ‘tradizione’, siamo chiamati ad essere.

Questo l’insegnamento che prendiamo da Gesù, e quale quello dalla cananea? La cananea doveva essere una donna forte; davanti alle parole di Gesù che suonavano a diniego dal volerla esaudire nella sua richiesta, ella non si arrende, insiste, insiste ripetutamente, finché ottiene.

L’insegnamento è la perseveranza, grande dote e qualità. Sappiamo bene quanto sia facile stancarsi di fronte alla fatica, agli impegni presi, alle promesse fatte; quanto sia difficile la perseveranza! Specialmente nelle scelte grandi della vita, quelle che per loro natura richiedono un ‘per sempre’. Il ‘per sempre’ spaventa, e neppure si ha il coraggio, talvolta, di intraprenderlo. Si avverte tutta la propria debolezza e fragilità, e ci si sente incapaci di un ‘per sempre’. Eppure in fondo al cuore si sente la grandezza, la bellezza e il valore della perseveranza! e la si vorrebbe.

La si può ottenere dal Signore; dal Signore che è la rupe e la roccia che non crolla; dal Signore che è capace di sostenere e di sorreggere in ogni situazione, difficoltà e circostanza. Appoggiamoci su di lui con la fede e la preghiera, e parteciperemo, allora, per dono e per grazia, della sua stabilità; e saremo felici.

don Giovanni Unterberger

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