29^ domenica del Tempo ordinario (forma ordinaria)

Thomas Cole – La distruzione dell’impero romano – 1836

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(Is 45,1. 4-6;   1Tess 1,1-5b;   Mt 22,15-21)

Duomo di Belluno, 18 ottobre 2020

“E lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?”. Cesare era l’imperatore di Roma -in quel momento Tiberio- che tramite il procuratore Ponzio Pilato in Giudea e il re Erode Antipa in Galilea, dominava la Palestina. La domanda degli interlocutori di Gesù, farisei ed erodiani, stranamente in quest’occasione uniti insieme nel tentativo di mettere in difficoltà Gesù, pur essendo essi su posizioni dottrinali e politiche diverse e contrastanti, non fu: “è ‘doveroso’, o no, pagare il tributo, le tasse, che l’imperatore imponeva ed esigeva, ma: “è ‘lecito’, o no, farlo?”.

Posta così la domanda, sulla ‘liceità’ della cosa, veniva evocata una questione particolarmente delicata, non tanto di carattere politico, sociale ed economico, quanto piuttosto di carattere religioso: il problema era se dovesse essere accettato e riconosciuto il dominio romano, pagano, su Israele, segno della quale accettazione e riconoscimento  era il pagare il tributo, oppure se il dominio romano dovesse essere rifiutato, e quindi ad esso il tributo non dovesse essere corrisposto. Gli erodiani, collaborazionisti con i Romani, dicevano di sì: essi accettavano il dominio straniero; i farisei, invece, assertori che unico vero sovrano di Israele era JHWH, avvertivano come una bestemmia e una forma di idolatria, il riconoscimento di un dominio umano, per di più pagano, su Israele; e quindi per loro, in coscienza, il tributo non era da versare, anche se poi, in concreto, perché costretti, non potevano esimersene.

Qualunque risposta Gesù avesse dato alla domanda, insidiosa, si sarebbe attirato critiche e opposizione: se avesse ammesso il versamento del tributo, avrebbe contrariato i farisei e si sarebbe alienato la gente, la quale aspettava proprio dal Messia la liberazione dal giogo straniero; se l’avesse negato, gli erodiani sarebbero stati pronti a denunciare Gesù al potere romano, ed egli sarebbe stato condannato. Ma Gesù, abilmente, spostò la questione su di un altro piano. Spesso i rabbini ebrei , nelle loro discussioni, ad una domanda loro posta non davano direttamente risposta, ma opponevano all’interlocutore una contro domanda. Così fece Gesù; disse: “Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo”, e aggiunse: “Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?”

La moneta romana raffigurava su un lato il volto dell’imperatore romano Tiberio col capo coronato d’alloro, a guisa di un dio, con l’iscrizione: “Tiberio Cesare, figlio augusto del divino Augusto”, e sul retro la moneta portava le parole “Pontifex maximus”, pontefice sommo. Quella moneta era pagana, riportava l’effige di un imperatore pagano, che addirittura si proclamava ‘dio’ e ‘pontefice sommo’; in se stessa, però, in quanto moneta, essa non stava ad indicare il dominio romano, ma -appunto perché denaro- rimandava unicamente al dovere del popolo di contribuire col proprio denaro allo Stato. Gesù derubricava quindi la domanda dei suoi interlocutori della valenza religiosa che essi le davano, e la riportava al dovere concreto dei buoni cittadini di pagare le tasse: “Rendete a Cesare quello che è di Cesare”, disse. E aggiunse, a sorpresa di chi lo stava interrogando: “e a Dio quello che è di Dio”. Gesù pose, accanto a Cesare, Dio. Non solo Cesare ha dei diritti sui cittadini, ma anche Dio, soprattutto Dio, mise in chiaro Gesù!

I diritti di Dio sugli uomini sono maggiori e preminenti rispetto a quelli che può vantare lo Stato; addirittura Gesù disse che Dio va preferito al padre, alla madre, ai figli, ai campi, a tutto (cfr Lc 14,25), e quindi anche allo Stato, in particolar modo qualora esso emanasse leggi e ordinamenti contrari alla legge di Dio. Lo Stato non può vantare diritti contro Dio. Gli apostoli Pietro e Giovanni, all’indomani della Pasqua, al Sinedrio che imponeva loro di non parlare più di Gesù, risposero: “Se sia giusto innanzi a Dio obbedire a voi più che a lui, giudicatelo voi stessi” (At 4,19); fu il promo caso di obiezione di coscienza, di disobbedienza civile.

Un ultimo breve messaggio ci viene dalla parola ‘rendete’ che Gesù usa nel dire: “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. La parola greca ‘apòdote’ ( ̓απόδοτε) che il Vangelo usa è più forte del semplice ‘rendete’, significa propriamente ‘restituite’; come a dire: in quanto uomini e in quanto cittadini abbiamo una sorta di debito nei confronti dello Stato e di Dio; dall’uno e dall’altro riceviamo doni, servizi, vantaggi: dobbiamo ‘restituire’. Allo Stato con l’assolvimento delle imposte, a Dio con l’obbedienza alle sue leggi.

don Giovanni Unterberger

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