9^ domenica dopo Pentecoste

Giotto – Cacciata dei mercanti dal Tempio – 1303-1305

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(1Cor 10,6-13; Lc 19, 41-47)

Domenica 22 luglio, risalente al 29 luglio 2012

Dovette fare impressione agli apostoli vedere Gesù piangere. Gesù, uomo di trentacinque-trentasei anni, forte, equilibrato, sempre positivo e tanto forte di fronte agli attacchi dei farisei, dei sadducei, degli erodiani era lì, seduto sul declivio del Monte degli Ulivi, con la città di Gerusalemme davanti agli occhi, in lacrime. Gesù piangeva al pensiero dei mali che sarebbero caduti su Gerusalemme a causa della sua chiusura alla chiamata e alla voce di Dio. Dovette fare impressione agli apostoli quel pianto, tanto che esso è ricordato e riportato nel Vangelo.

Sant’Agostino commenta quell’episodio dicendo: “Fa in modo che Gesù non abbia a piangere su quella Gerusalemme che sei tu, sulla tua anima, sulla tua vita”.

San Paolo nella prima lettura ci ha indicato il modo perché Gesù non abbia a piangere su di noi: evitare il peccato, lottare contro la tentazione fino a vincerla. E Paolo indica un mezzo, una strategia per vincere la tentazione, tentazione che – egli precisa subito – non è mai superiore alle nostre forze, ma che con l’aiuto e la grazia di Dio può sempre essere vinta.

Il mezzo, la strategia che Paolo suggerisce è quella di farsi aiutare dalla storia passata. Egli sta richiamando alla memoria dei Corinzi ciò che avevano fatto gli antichi Ebrei lungo i quarant’anni nel deserto: erano stati idolatri, si erano dati alla fornicazione, avevano contestato Dio e il suo modo d’agire. “Voi non dovete fare così”, esorta san Paolo; “voi dovete rimanere fedeli e obbedienti al Signore”. L’esito infatti della vita peccaminosa di quegli antichi Ebrei era stata la morte: “in un solo giorno ne caddero ventitremila”, dice il testo sacro. Il peccato porta morte; portò morte allora e porta morte sempre.

I Corinzi a cui Paolo scrive (oggi quei Corinzi siamo noi) devono lasciarsi istruire da quanto accaduto agli antichi ebrei; la storia non deve essere lasciata trascorrere e cadere invano; “historia masgistra vitae”, dicevano gli antichi Romani, “la storia è maestra di vita”; essa va ascoltata, apprezzata, obbedita; se ne deve fare tesoro. E non solo sul versante negativo, cioè negli esempi negativi che la storia ci offre, affinché li evitiamo, ma anche sul versante positivo, negli esempi positivi che essa ci dà, affinché li imitiamo.

Quanto bene e quanti stimoli buoni ci vengono dal bene compiuto nella storia. La Chiesa, che è saggia maestra, ci mette davanti nel corso dell’anno liturgico una lunga teoria di santi e di sante che possono spronarci al bene. Sant’Agostino, pensando ai santi, scrive: “si isti et istae, cur non et ego?”, se questi e queste sono diventati santi, perché non potrei diventare santo anch’io? E lo diventò.

In questo mese di luglio, ad esempio, la Chiesa ci ha messo e ci mette davanti figure come Maria Goretti (il sei luglio), ragazza dodicenne che preferì lasciarsi uccidere piuttosto che venire meno alla sua purezza; l’undici luglio ci ha messo davanti la straordinaria figura di san Benedetto, patriarca del monachesimo occidentale; il quattordici luglio ci ha messo davanti san Camillo de Lellis, che si dedicò totalmente alla cura degli ammalati più gravi negli ospedali; il ventidue luglio santa Maria Maddalena, peccatrice, convertita e innamoratasi di Gesù fino a seguirlo sotto la croce; il trentun luglio la forte tempra di sant’Ignazio di Loyola, che da capitano agli ordini del re di Spagna si mise al servizio del Gran Re, come egli lo chiamava, facendo tutto per la maggiore gloria di Dio.

Queste storie, i santi possono accendere in noi il desiderio della santità. Giova molto conoscere la vita, leggere i libri che parlano di loro. Lo scopo è quello di amare un po’ di più il Signore, diventare più forti contro le tentazioni e il peccato, fare della propria vita qualcosa di bello, di buono, di cui Gesù possa compiacersi, e di cui possa essere contento, così da non piangere e da non rattristarsi di noi.

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