Festa della presentazione di Gesù al Tempio

Raffaello Sanzio – Presentazione di Gesù al tempio – 1502-1503

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(Mal 3,1-4; Ebr 2,14-18; Lc 2,22-32)

2 febbraio 2022, risalente al 2 febbraio 2014

Il profeta Malachia fu l’ultimo dei profeti dell’Antico Testamento, prima di Giovanni Battista e di Gesù. Egli visse nel secolo quinto a.C., a Gerusalemme. Il tempio di Salomone era stato distrutto, e uno nuovo era stato da poco ricostruito; ma al tempio di Gerusalemme le cose non venivano portate avanti bene. Al Signore si sacrificavano animali difettosi, si offriva cibo contaminato, non si pagavano le decime del raccolto. Malachia richiama il popolo ai suoi doveri, e annuncia un culto nuovo, rinnovato: “Ecco, entrerà nel tempio il Signore; allora sarà offerta un’oblazione a lui gradita”.

Questa profezia si avverò quando, in quel tempio di Gerusalemme, entrò Gesù Bambino, a quaranta giorni dalla nascita, portato da Maria e da Giuseppe. In quel bambino, piccolissimo e ancora incosciente, era davvero il Signore che entrava nel suo tempio, e vi entrava per inaugurare il culto nuovo, il culto santo, il culto perfetto.

Egli, Gesù, era portato in braccio dai suoi genitori e veniva offerto da loro a Dio perché fosse di Dio, perché fosse a lui consacrato, gli appartenesse del tutto; ma quel Bambino, diventato adulto, avrebbe poi lui, personalmente, offerto se stesso a Dio, al Padre, per dare vita a un culto non fatto di offerta di animali (agnelli, vitelli, giovenchi), ma fatto dell’offerta di se stesso, della propria stessa vita.

Gesù inaugurò il culto nuovo sulla croce, quando fu sacerdote e vittima insieme, sacrificio perfetto gradito al Padre.

Il culto perfetto offerto al Padre è lui, è lui morto e risorto; è lui il sacrificio che il Padre accoglie a salvezza dell’umanità.

Questo sacrificio viene continuamente perpetuato dalla Chiesa lungo i secoli, e lo sarà fino alla fine del mondo. La Messa è questo sacrificio; è il sacrificio di Cristo, è il Calvario reso presente e attuale a noi, contemporaneo a noi, al nostro oggi che stiamo vivendo.

Quando noi partecipiamo alla Messa, noi offriamo quel sacrificio, o – meglio – è ancora Cristo stesso che offre il suo sacrificio, il sacrificio di sé; e noi partecipiamo a quel sacrificio, l’abbiamo nelle nostre mani, lo presentiamo al Padre. Celebriamo il culto vero.

Non deve sfuggirci questa realtà, che è il cuore, l’essenza della Messa. Non devono distrarci da questo cuore, da questo centro, le parole, i gesti, i canti, l’omelia più o meno ben fatta, più o meno gradita, del sacerdote; tutto, anzi, deve riportarci a questo centro, a questo cuore, al sacrificio di Cristo che si dona a noi, corpo spezzato sulla croce, sangue versato.

Immersi in quel sacrificio: ecco che cos’è la Messa; resi abilitati dall’amore di Dio a offrirgli quel sacrificio; venire trasformati da quel sacrificio in cui ci immergiamo; questo è la Messa. Se questo non ci accade, è come se non fossimo stati a Messa.

Oggi, festa della presentazione di Gesù al tempio, abbiamo iniziato con la liturgia della luce, con la benedizione e l’accensione delle candele. Essa fu originata dalle parole di Simeone all’atto di prendere tra le braccia Gesù, quando disse: “Questo bambino è la luce dei popoli, è la luce dell’umanità”.  Davvero Gesù è la luce dei popoli, è la luce dell’umanità, e lo è in particolare nel suo sacrificio sulla croce, perché lì, sulla croce, brillò in modo straordinario e in misura estrema, piena fino al colmo, l’amore, la dedizione, la carità del Dio fatto uomo.

La Messa, quel sacrificio, è la luce del mondo; è la luce dell’amore che sconfigge le tenebre del peccato, che vince il buio della morte. Noi che partecipiamo alla Messa veniamo immersi in quella luce, in quell’amore, e dobbiamo uscire dalla Messa trasformati anche noi in luce e amore. “Voi siete la luce del mondo – ci ha detto Gesù -. Non potete restare nascosti. La vostra luce deve risplendere davanti a tutti gli uomini; gli uomini devono vedere le vostre opere buone, e glorificare così il Padre vostro che è nei cieli”. (Mt 5, 14-16)

Il vero culto, quello della Messa, deve espandersi poi oltre la Messa, fuori della chiesa, in una vita vissuta bene, in una vita vissuta nell’amore, nella carità. Tutta la vita deve diventare liturgia, culto; culto nuovo gradito a Dio, vissuto nel sacrificio di sé, nel dono di sé a Dio e ai fratelli.

La profezia di Malachia allora si compirà in modo pieno e perfetto: un nuovo culto si innalzerà dalla terra al cielo: il culto di Cristo in favore di tutti noi, e il culto nostro in risposta all’amore suo per noi. Il tutto per l’onore e la gloria del Padre.

Don Giovanni Unterberger

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