4^ domenica di Quaresima – forma ordinaria

Rembrandt Harmenszoon van Rijn – Particolare padre figlio ritorno figliol prodigo – 1661-1669

clicca QUI per scaricare l’omelia

(Gios 5,9a.10.12;   2Cor 5,17-21;   Lc 15,1-3.11-32)

Sabato 26 marzo 2022, risalente al 9 marzo 2013

Commentare un capolavoro non è facile. E la pagina di Vangelo che abbiamo ora ascoltato è un capolavoro; un capolavoro d’amore. È il capolavoro di un padre che è madre; un padre-madre che fa famiglia, che accoglie il figlio ribelle che torna, e che prega l’altro figlio ad entrare in casa e ad accettare il fratello pentito che è tornato.

Il padre della parabola è padre e madre insieme; infatti l’evangelista Luca quando descrive ciò che quel padre provò al vedere da lontano il suo figlio tornare, dice che “ne ebbe compassione”. Il testo greco dice molto di più. Luca usa il verbo “splanchnìzo”, che significa “si sentì muovere dentro le viscere”. “Splanchnìzo” deriva da “splanchna”, e “splanchna” in greco vuol dire “viscere, grembo, utero”. Quel padre ha un grembo, ha un utero, è padre e madre insieme, ama con l’amore di un padre e di una madre, ama con un amore assoluto. A quel padre si sconvolsero le viscere dentro, quando vide il figlio tornare! E quando Luca dice che quel padre-madre ebbe tra le braccia il figlio, dice che “lo baciò”. Il testo greco anche qui dice molto di più. Luca usa un verbo che non è il semplice “filèo” (baciare), ma usa un suo rafforzativo, un suo intensivo: “katafilèo”, che significa “coprire di baci”. Un nostro parrocchiano, Thomas Pellegrini, nella sua traduzione dei Vangeli in dialetto bellunese, rende questo verbo di Luca in modo molto bello e pieno, dice: “l’à basà e strabasà”.  Quel padre-madre baciò e ribaciò il figlio, lo coprì di baci!

E il vitello grasso che il padre fece uccidere per il banchetto e per la festa non fu un vitello qualsiasi, uno dei tanti vitelli che quel padre aveva nella stalla. Vitello “grasso” dice la nostra traduzione italiana, ma il testo greco del Vangelo dice: vitello “siteutòn”, cioè “allevato e nutrito col grano”. Quel giorno il padre fece uccidere il vitello fatto crescere con un mangime del tutto speciale, il vitello che egli teneva in serbo per un giorno speciale; e quale giorno più speciale sarebbe potuto esserci di quello del ritorno del figlio?

Queste sono solo alcune delle perle con cui Gesù disseminò la sua parabola per dire quanto buono sia Dio e quanto egli gioisca per un peccatore che torna a lui, quale festa egli gli faccia. Tutto ciò per invitare l’uomo a gettarsi nelle braccia piene di misericordia del Signore con confidenza infinita, anche se peccatore, accogliendo l’invito di Paolo nella seconda lettura: “Vi supplichiamo: lasciatevi riconciliare con Dio”. “Torniamo a Dio che largamente perdona”, dice il profeta Isaia (Is 55,7).

Il padre della parabola compie anche un altro gesto di grande portata: invita il figlio maggiore ad accogliere e a fare festa col fratello tornato a casa. Quel figlio maggiore non poteva accettare e sopportare che suo fratello, dopo aver fatto ciò che aveva voluto e aver dilapidato tutte le sue sostanze con le prostitute, ora venisse riaccolto in famiglia come niente fosse stato, e addirittura gli si facesse una grande festa! “Ma dove siamo?”, si sarà detto; “mio padre non ragiona bene”; e non voleva entrare in casa. Ed ecco allora il padre che esce di casa, esce a supplicarlo perché entri, perché venga a fare festa con suo fratello e per suo fratello. Il padre vuole fare famiglia, si sforza di fare famiglia.

In una famiglia ci si offende, ci si disturba, ci si fa alle volte soffrire gli uni gli altri, ma il grande desiderio di un padre, di Dio Padre, è che i suoi figli vadano d’accordo, si accolgano, si perdonino, facciano famiglia. Dio vuole una umanità che sia famiglia.

È vero, sbagliamo tutti; tutti abbiamo qualcosa da ridire su tutti e tutti hanno qualcosa da ridire su di noi; ma non è criticandoci, giudicandoci e condannandoci che riusciamo a vivere insieme, a restare uniti, a fare famiglia. È solo accettando di “entrare in casa”, cioè di appartenere ad un gruppo di persone (famiglia, Chiesa, Stato) che, benchè difettoso ed imperfetto, vogliamo tuttavia che sia il nostro gruppo, la realtà a cui appartenere, standoci dentro con sentimenti di misericordia e di perdono, con lo sforzo e l’impegno di migliorare noi la realtà in cui siamo, con il nostro esempio, con la nostra buona volontà, con la nostra virtù.

Vero, grande capolavoro di straordinaria paternità e di fratellanza è questo Vangelo; se lo vivremo e lo metteremo in pratica, esso farà un capolavoro anche di noi.

Don Giovanni Unterberger

Questa voce è stata pubblicata in Omelie di Don Giovanni. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.