4^ domenica dopo Pentecoste

Raffaello Sanzio – Pesca miracolosa – 1515-16

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(Rm 8,18-23;   Lc 5,1-11)

Domenica 3 luglio 2022, risalente al 16 giugno 2013

Pietro, Giacomo e Giovanni avevano trascorso tutta la notte a pescare e non avevano pescato nulla, neanche un pesce. Per loro quel lago era vuoto, era senza vita. E invece quel lago all’indomani si sarebbe riempito di pesci; sulla parola di Gesù quel lago avrebbe dato tanti pesci da riempire le loro barche fino a rischiare di farle affondare. C’era una realtà, per Pietro, Giacomo e Giovanni, che essi non conoscevano e che non avrebbero mai immaginato; una realtà bella, ricca, straordinaria che Gesù avrebbe loro donato. Ne rimasero sorpresi, come storditi, tanto che avvertirono una distanza immensa tra loro e la nuova realtà, tra loro e la nuova situazione; e Pietro disse a Gesù: “Allontanati da me che sono un peccatore”.

San Paolo, nella prima lettura che abbiamo ascoltato, ci ha parlato, in termini più teologici ma non meno concreti, di una realtà grande, bella, ricca e straordinaria che noi non conosciamo, e che sta al di là di questa nostra realtà, una realtà che Dio nel suo amore ci tiene preparata, e che un giorno ci donerà.

L’orizzonte di Paolo è straordinariamente aperto: non è solo planetario, è cosmico; abbraccia l’universo intero, abbraccia tutto ciò che esiste. Paolo parla di “creazione: “la creazione -egli dice- attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; la creazione geme e soffre come nelle doglie di un parto”. Paolo parla di “creazione”, di tutta la creazione, di tutto il creato. Tutto il creato, umanità compresa evidentemente, attende qualcosa, attende di essere trasformato, trasfigurato, sanato, ricostruito, rifatto perfetto. Ci saranno “cieli nuovi e terra nuova”, dice l’Apocalisse, in cui “non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno” (Ap 21,1.4).

Si tratta di un “parto” che deve accadere, di un parto che tutta la realtà sta vivendo e soffrendo. La realtà in cui noi viviamo, in cui siamo immersi non è la realtà “ultima”, è la realtà “penultima”; ci sarà uno stadio e un modo di esistere della realtà che verrà dopo questo stadio di realtà attuale, e che sarà una cosa meravigliosa. “Occhio mai vide, orecchio mai udì, né entrò mai in cuore di uomo  ciò che Dio tiene preparato per noi” (1Cor 2,9).

Noi siamo molto inseriti e radicati in questa nostra realtà attuale, e non vorremmo mai uscire da essa; ma non è questa la nostra città definitiva, dice la Lettera agli Ebrei; siamo fatti per un’altra città (Eb 13,14), per la realtà rinnovata, per una realtà più bella. Ci attende qualcosa di più bello.

Noi non abbiamo forse molta fiducia in Dio; non crediamo che “i cieli nuovi e la terra nuova” che Dio ci sta preparando siano migliori di questo cielo e di questa terra; avvertiamo l’uscita da questo mondo come una rovina, una perdita, una tragedia, mentre è un guadagno, una ricchezza più grande. Dovremmo molto desiderare il Cielo, desiderare la realtà definitiva di Dio, fidarci di lui che non ci toglierà nulla, non ci priverà di nulla, ma ci darà invece molto di più.

Il pensiero che questa realtà è transitoria, passeggera, ci deve educare alla sobrietà, ad usare con sobrietà delle cose, a vivere rapporti di giusto distacco dalle cose e dalle persone, e non rapporti di possesso, di attaccamento sbagliato, di cupidigia. Scrive san Paolo: “Fratelli, il tempo si è fatto breve; d’ora in poi quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero; quelli che comperano, come se non possedessero; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero a pieno, perché passa la scena di questo mondo” (1Cor 7,29-31).

C’è un altro mondo che ci aspetta. Il nostro occhio si posa e si ferma facilmente su ciò che si vede, ma c’è un altro mondo, c’è un mondo che non si vede, c’è un mondo invisibile che, perché è invisibile, non è che non sia reale; anzi, è realissimo! è più reale del mondo reale che vediamo, perché questo mondo reale che vediamo passa e terminerà, quello che non vediamo sarà duraturo, eterno e non verrà mai meno. E sarà il regno della pienezza, della completezza, del compimento.

Desiderio di Cielo, ecco ciò che è debole in noi, ciò che troppo ci manca. “Il mio popolo è duro a convertirsi -dice il Signore nel Libro di Osea- chiamato a guardare in alto nessuno sa sollevare lo sguardo” (Os 11,7). Non sappiamo tante volte alzare lo sguardo in su; non sappiamo, in definitiva, desiderare Dio, desiderare le cose di Dio.

Ecco l’invito e la sfida della Parola di Dio oggi: aprirsi all’invisibile; preparasi a vivere l’invisibile; anzi, vivere già oggi, di più, di invisibile; vivere già oggi, di più, di Dio, della sua Parola, della sua amicizia, della comunione con lui, della presenza degli angeli, della fraternità dei Santi, della vita buona di cui è ricca la Chiesa. Questa è la realtà vera, quella che durerà per sempre, quella a cui siamo chiamati, quella che, sola, può riempire i nostri cuori, le nostre esistenze, la nostra vita, qui e nell’eternità.

don Giovanni Unterberger

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