14^ domenica del Tempo Ordinario

Henri-Rousseau – Charmeuse de serpents – Incantatrice di serpenti -1907

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(Is 66, 10-14c; Gal 6,14-18; Lc 10, 1-12.17-20)

Sabato 2 luglio 2022, risalente a sabato 6 luglio 2013

Il Concilio Ecumenico Vaticano II, nel decreto “Ad gentes”, il documento dedicato all’attività missionaria della Chiesa, dice che la Chiesa è “per sua natura missionaria” (Ad G, n.2), in quanto fondata dal grande Missionario, Cristo, il mandato dal Padre a portare il lieto annuncio della salvezza al mondo; e in quanto mandata, essa stessa, la Chiesa, dal suo fondatore, Cristo, ad annunciare la salvezza al mondo. Gesù, prima di salire al cielo disse agli apostoli: “andate in tutto il mondo, ammaestrate tutte le nazioni, insegnando loro ad osservare tutto ciò che io vi ho comandato” (Mt 28,19-20). La Chiesa è, per sua natura, missionaria.

Il brano di Vangelo che abbiamo ascoltato ci ha descritto un momento di invio missionario di alcuni discepoli da parte di Gesù. Siamo durante la vita pubblica di Gesù; Gesù è vivo, in Galilea, con i suoi apostoli e discepoli, e vuole educarli alla missione; vuole far fare loro, per così dire, le prove generali della vita di missione che essi avrebbero poi dovuto svolgere una volta che lui, Gesù, sarebbe morto, risorto e asceso al cielo. Le indicazioni che Gesù diede quel giorno ai discepoli, nell’atto di inviarli, furono indicazioni particolareggiate e precise, consone a quella particolare missione, come ad esempio l’indicazione di non passare di casa in casa, di non fermarsi a salutare nessuno lungo la strada (era uso comune in Medio Oriente, allora, che il fermarsi a salutare qualcuno lungo la strada impiegasse molto tempo, fino a ritardare, se non proprio a far dimenticare, il motivo stesso per cui si era partiti; non era l’indicazione di non dire neppure un semplice “buongiorno”). Così pure l’indicazione di scuotere la polvere dai piedi delle città che non avessero accolto l’annuncio dei Dodici non era un invito al disprezzo e alla condanna di quelle città, ma, nel costume mediorientale di allora, era un segno per dire: “Io ho fatto tuto ciò che dovevo fare nei tuoi confronti; le conseguenze negative che derivassero dal tuo comportamento, non sono responsabilità mia, sono totalmente da ascriversi a te”.

Da questo Vangelo, che descrive una missione particolare, possiamo tuttavia ricavare alcune indicazioni utili per noi, per la nostra missione oggi. Anzitutto notiamo “chi” siano i discepoli che Gesù invio in missione. Sono persone difettose. Tra loro c’erano gli apostoli, e conosciamo bene dai Vangeli l’irruenza e l’incostanza di Pietro, l’orgoglio di Giacomo e Giovanni, la poca fede di Tommaso, l’attaccamento al denaro di Giuda. Inoltre quei discepoli erano persone inesperte di missione, erano alla loro prima esperienza; non sapevano più di tanto come fare. Eppure Gesù li inviò lo stesso. Li inviò con fiducia in loro.

Anche noi il Signore vuole inviare; egli ha bisogno di noi per la missione, per la diffusione del Vangelo; e noi non dobbiamo farci scudo e trovare inciampo nella nostra poca santità, nei nostri limiti, nei nostri difetti e incapacità. Lui ci vuole, Lui ci manda; dobbiamo andare ad annunciare, a testimoniare. E annunciare Cristo nel nostro ambiente, di famiglia, di lavoro, di città, come i discepoli furono inviati non fuori della Palestina, non lontano dal loro ambiente, ma proprio nel loro ambiente; e sappiamo come testimoniare Cristo nel proprio ambiente sia spesso più difficile e più faticoso che testimoniarlo lontano. Ma il Signore ci assiste e ci aiuta.

Vediamo poi, dal Vangelo, quale dev’essere il “contenuto” della missione. Il contenuto essenziale del nostro annuncio e della nostra testimonianza è ciò che Gesù comandò ai suoi discepoli di dire: “In qualunque casa entriate – egli disse – dite come prima cosa: “Pace a questa casa”. Il testimone di Cristo deve portare la pace. Deve portare la pace di Cristo, deve annunciare che Dio è in pace con quella casa, che Dio è in pace con l’uomo, con l’umanità. E qui può venirci in aiuto la prima lettura, che ci ha descritto un Dio buono, un Dio–madre che prende in braccio l’uomo, il suo bambino; lo accarezza, lo tiene sulle ginocchia, lo stringe a sé, lo allatta. Il primo annuncio da portare è che Dio è buono, che Dio ama l’uomo, che Dio è amico dell’uomo, che Dio è in pace dell’uomo. Da quell’annuncio buono, da un annuncio così, scaturirà dal cuore dell’uomo il bisogno, il desiderio, la necessità di riamare Dio, che è buono e che ci ama.

E quale dovrà essere lo “stile” dell’annuncio cristiano? Ai suoi discepoli Gesù raccomandò di non portare con sé né borsa, né sacca, né sandali, di andare con grande sobrietà e semplicità, fidandosi di Dio. La nostra testimonianza cristiana dovrà essere una testimonianza disarmata, confidente più in Dio che in noi stessi; una testimonianza che è solo proposta e per nulla imposizione; un invito che è pura e semplice offerta di un bene grande e prezioso, perfettamente corrispondente al cuore dell’uomo.

 I frutti verranno. Verranno a suo tempo e secondo la potenza di Dio. Gesù disse ai discepoli tornati dalla missione: “Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni”. La missione di quei discepoli ebbe successo. Sempre ha successo, sempre porta frutto la testimonianza cristiana del credente che in nome di Cristo e con lo stile di Cristo, inviato da Cristo, porta l’annuncio ai fratelli. Sempre ha successo la testimonianza cristiana; forse non subito; forse i frutti della nostra testimonianza noi non li vedremo, ma essi matureranno, di certo, perché la testimonianza cristiana è seme buono, è seme di Dio; e il seme di Dio diventa di sicuro messe rigogliosa e abbondante.

Siamo Chiesa; siamo Chiesa missionaria; testimoniamo dunque Cristo con coraggio e senza paura, con la parola e con la vita. Cristo ha bisogno di noi.

don Giovanni Unterberger

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