15^ domenica del Tempo Ordinario

Vincent van Gogh – Il buon Samaritano – 1890

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(Dt 30,10-14; Col 1,15-20; Lc 10,25-37)

Sabato 9 luglio 2022, risalente al 13 luglio 2013

Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” -, chiese un dottore della Legge a Gesù. Era, quella, una domanda giustificata, perché la Legge ebraica al tempo di Gesù aveva accumulato una serie infinita di norme e di prescrizioni; erano 613 i precetti da osservare e da mettere in pratica. Quali erano dunque i precetti più importanti, quelli essenziali, quelli da dover assolutamente osservare, pena il perdere la vita eterna?

E la domanda del dottore della Legge era giustificata anche per un altro motivo, per il fatto che essa chiedeva ciò che doveva essere fatto per ottenere la vita eterna; non per ottenere una vita qualsiasi, ma per ottenere la vita eterna. Raggiungere la vita eterna, cioè la salvezza della propria anima, è l’affare più importante che abbiamo tra le mani, è l’impresa che più ci deve stare a cuore, perché raggiungere la vita eterna, essere salvi per sempre, per l’eternità, è il pensiero che merita di essere il primo dei nostri pensieri, è il bene che dobbiamo sentire più prezioso di ogni altro bene, più della stessa salute e più della stessa vita quaggiù.

Gesù risponde: “Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?” Non dà lui direttamente la risposta; rimanda il dottore della Legge alla fatica che lui, il dottore della Legge, deve fare, alla fatica di scrutare le Sacre Scritture. Gesù non ci esonera dalla fatica di fare il bene; ci indica il bene, ci accompagna e ci aiuta nel fare il bene, ma c’è una parte che dobbiamo fare noi per compiere il bene, c’è un qualcosa che dobbiamo mettere in atto noi. Non fa tutto lui, Gesù.

Il dottore della Legge si mostra saggio e sincero; lasciandosi guidare dalla verità che ha in sé, fa centro; risponde: “La Legge dice: amerai il Signore tuo Dio con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso”. Questo è il comandamento principale della Legge. Sì, la Legge ne ha anche altri di comandamenti, ne ha molti altri, ma questo è il primo comandamento, il principale, quello essenziale e decisivo.

Il dottore della Legge ha giudicato bene, è stato bravo, perché poteva non essere facile per un dottore della Legge, che apparteneva alla setta dei farisei, districare questo comandamento di tra l’infinita selva di comandamenti che dava tanta importanza ad esempio ad avere le mani ben lavate prima di assumere i pasti; a non allontanarsi da casa più di 820 metri in giorno di sabato, pena il violare il riposo del sabato; il tenersi rigorosamente separati dai pubblicani e dai peccatori fino a non mettere piede in casa loro; pagare le decime al tempio ed osservare tutte le leggi del culto. Il sacerdote e il levita della parabola, ad esempio, non seppero mettere il comandamento dell’amore prima del comandamento che impediva di toccare un morto; quel malcapitato aggredito dai briganti poteva morire loro tra le braccia mentre lo soccorrevano, ed essi sarebbero diventati ritualmente impuri, impediti di esercitare il culto. Il dottore della legge, invece, disse: “il comandamento più importante della Legge è quello di amare, amare Dio e amare il prossimo.”

Ma a questo punto il dottore della Legge mostra il suo limite e il suo difetto. Riguardo all’amore al prossimo egli aveva le sue idee, le sue convinzioni. Per un ebreo, e tanto più per un fariseo e un dottore della Legge, il prossimo da amare era solo il popolo ebraico, e non quindi i pagani; e anzi, in senso ancora più ristretto, erano solo quelli del proprio gruppo, della propria fazione, della propria setta: per un fariseo i farisei, per un sadduceo i sadducei, per uno zelota gli zeloti. Quindi il dottore della Legge pone la domanda a Gesù: “Chi è il mio prossimo?”.  La pone    – dice il Vangelo – “per giustificarsi”. Egli ha qualcosa da difendere. Egli doveva aver intuito che Gesù aveva un’idea diversa dalla sua riguardo al prossimo, e pone la domanda “per giustificarsi”, per difendere la propria idea, il proprio convincimento, il proprio modo di vedere.

Gesù gli propone il proprio pensiero. “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti”. Quell’uomo doveva essere un giudeo; la parabola è ambientata in Giudea; Gerusalemme e Gerico sono in Giudea. Ma a soccorrere e a prendersi cura di quell’uomo non fu un giudeo, fu un samaritano, un uomo che non era considerato appartenente al popolo di Israele, o quantomeno non appartenente all’Israele vero, autentico. Proprio lui si fermò a soccorrere e a prendersi cura di quel povero ferito, lasciato mezzo morto dai briganti sul ciglio della strada.

Il pensiero di Gesù è chiaro: l’amore al prossimo è la regola che precede ogni altra regola, compresa la regola di un culto solo formale e ritualistico (quello del sacerdote e del levita), e l’amore al prossimo è un amore che non ha limiti, non ha confini e barriere; si estende ed arriva a tutti, oltre e al di là delle differenze di etnia, di colore della pelle, di credo religioso, di cultura, di stato sociale…; oltre ogni differenza.

Al dottore della Legge che chiede: “Chi è il mio prossimo?”, cioè: “Fin dove devo amare?”, Gesù risponde: “Fatti tu prossimo al fratello, cioè ama tu tutti. Tutti saranno ‘tuo prossimo’, se tu saprai farti ‘prossimo’ a tutti. Fa così; fatti prossimo a tutti, e avrai la vita eterna”.

Papa Francesco in una delle sue omelie ha detto: “Pieghiamoci sulle necessità dei poveri e dei bisognosi. Sono la carne di Gesù, sono le piaghe di Gesù. Piegandoci su quelle piaghe noi incontreremo Gesù, e avremo la vita”.

don Giovanni Unterberger

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