4^ domenica di Pasqua – forma ordinaria

Bartolomé Esteban Murillo – Buon pastore – 1660

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(At 4,8-12 ;   1Gv 3,1-2 ;   Gv 10,11-18)

sabato 20 aprile 2024, risalente al 25 aprile 2015

In tutti e tre i cicli liturgici, la quarta domenica di Pasqua è una domenica dominata dalla figura di Cristo buon pastore; è, semplicemente, “la domenica del buon Pastore”. Gesù dice: “Io sono il buon pastore”, e dicendo così egli vuole distinguersi nettamente da chi “buon pastore” non è.

Il mondo antico era pieno di pastori: pastori reali che rendevano questo mestiere tanto familiare e importante; ma nell’Antico Testamento erano detti “pastori” anche i capi, i re, i sacerdoti. Costoro non sempre pascevano il popolo secondo il volere di Dio. Il profeta Ezechiele ci riporta una dura requisitoria di Dio contro questi pastori; dice: “Guai ai pastori di Israele, che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? Vi nutrite di latte, vi vestite di lana, ammazzate le pecore grasse, ma non pascolate il gregge. Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme. Non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza. Per colpa dei pastori si sono disperse e sono preda di tutte le bestie selvatiche” (Ez 34,1-5).

Questo quadro ci mette davanti la figura del “capo” tra gli uomini, il modo con cui i capi, i dominatori, i potenti hanno spesso inteso ed esercitato il loro potere, la loro sovranità sui popoli. Ci furono anche nobilissime eccezioni, ci furono anche dei re santi; ma Gesù stesso, al suo tempo, constatava amaramente la sete egoistica di dominio e di sfruttamento che si annida in ogni potere umano. “I re dei popoli (cioè i pastori) -egli disse- comandano su di essi, e quelli che esercitano autorità si fanno chiamare per giunta anche benefattori” (Lc 22,25). E’ l’istinto del dominio dell’uomo sull’uomo, dell’autorità come asservimento e sfruttamento dei deboli.

Nel suo discorso sul “buon pastore” Gesù parla di questi falsi pastori umani, con lucidità: sono mercenari; ad essi non importa nulla delle pecore; davanti al pericolo fuggono e lasciano che le pecore siano sbranate.

Gesù invece è “il buon pastore”. Egli non ha temuto di presentarsi sotto l’immagine di “pastore”, un’immagine fortemente compromessa nell’esperienza umana, perché il suo modo di essere pastore sarebbe stato del tutto diverso, esattamente all’opposto di quello dei pastori umani. Gesù non venne per farsi pascere, ma per pascere l’umanità. Egli poteva attribuire a sé le parole di Dio nel libro del profeta  Ezechiele, parole subito seguenti alla requisitoria contro i pastori che abbiamo sopra riportato: “Io stesso cercherò le mie pecore -dice il Signore- e ne avrò cura. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse; le pascerò con giustizia” (Ez 34,11-12. 16). Gesù è venuto ad essere pastore che nutre, che cura, che si fa carico di noi sue pecore; che dà la vita per noi sue pecore.

E’ grazia immensa essere pecore di Gesù pastore. Gesù pastore, lungi dal mortificare la nostra personalità, l’aiuta a crescere, a formarsi; egli ci “personalizza” con la sua conoscenza e col suo amore; fa nascere in noi la creatura nuova, “l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità” (Ef 4,24). Gesù pastore non domina; Gesù serve.

Questo pensiero deve ridestare in noi il senso gioioso della nostra appartenenza a Cristo buon pastore, la persuasione di essere da lui conosciuti e amati; ma deve anche ridestare l’impegno di seguirlo con docilità e obbedienza, di voler essere pecore del suo ovile, per non cadere sotto altre pesanti schiavitù.

Gesù ci dà un segno di riconoscimento per sapere se siamo del suo ovile: “Le mie pecore ascoltano la mia voce -egli dice- io le conosco, ed esse mi seguono”. Riconosciamo noi la voce di Cristo, anche in mezzo ai mille richiami del mondo? Seguiamo noi quella voce, che si fa sentire nel nostro animo e nel nostro cuore solitamente con tanta delicatezza e rispetto della nostra libertà, ma che è voce che chiama al bene, alla virtù, al dono di noi, alla santità?

Festa del “buon Pastore”, questa domenica. Sia anche la festa di noi “buone pecorelle”.

don Giovanni Unterberger

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