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(1Pt 5,6-11; Lc 15,-10)
Domenica 9 giugno 2024, risalente al 14 giugno 2015
Un pastore aveva cento pecore e ne perse una; quando le contò s’accorse che una mancava, e allora lasciò le novantanove nel deserto e si lanciò alla ricerca di quella perduta. E’ un pastore singolare il pastore di questa parabola, un pastore che si comporta come nessun pastore di questo mondo si comporterebbe. Nessun pastore infatti, se si accorgesse di aver perduto una pecora, lascerebbe tutto il gregge incustodito nel deserto, col rischio che venga un lupo a sbranare il gregge, o che qualche malintenzionato venga a portare via qualche pecora. Ma questo pastore fa così: lascia incustodito tutto il gregge per quell’unica pecora perduta; anzi “abbandona” tutto il gregge, dice alla lettera l’evangelista Luca. Questo pastore perde la testa per la pecora perduta, fino a trascurare e ad abbandonare le altre novantanove. Nessun pastore umano farebbe così.
Ma Gesù sta parlando di Dio, e Dio è Padre. Ora un padre, anche se ha molti figli, si preoccupa per ciascuno di essi come se fosse l’unico, si trattasse pure del figlio cattivo. Dio è Padre, e la singola persona, il singolo peccatore gli sta a cuore, gli è importante e prezioso quanto quella pecora perduta era importante e preziosa per il pastore.
Anche il vangelo apòcrifo di Tommaso riporta la parabola della pecorella smarrita, ma dice che la pecorella andata perduta era la più grande, la preferita dal pastore, e che di quella egli andò alla ricerca. Un esegeta, Gerard Rossè, commenta: “L’insegnamento di Gesù è completamente stravolto dal vangelo di Tommaso. Gesù dice: se un uomo perde una pecora del gregge, farà l’impossibile per trovarla non perché è la migliore, ma semplicemente perché gli appartiene. Così agisce Dio. Se per Dio l’uomo, il peccatore ha tanto valore, non è perché possiede qualità particolari, ma perché ha bisogno d’aiuto e di essere salvato”. Quel pastore si muove per una sola pecora. Per Dio ogni singola persona è tutto! San Paolo l’aveva capito quando scrisse nella lettera ai Gàlati: “Cristo mi ha amato, e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20). Per ciascuno Cristo è morto, ed è come se per lui ciascuno fosse l’unico al mondo.
Per questa pecora, bene prezioso, il pastore si muove e si mette a cercarla. La ricerca da parte del pastore era necessaria perché la pecora fosse recuperata; da sola, quella pecora, non sarebbe stata capace di ritrovare il gregge, disorientata e sperduta com’era, e forse anche ferita e incapace di camminare. Dio per primo si mette sulle tracce dell’uomo. Fu così fin dall’inizio: Adamo, dopo il peccato, si nascose, e non sarebbe più uscito dal suo nascondiglio, per paura di Dio, per paura di incontrare il suo sguardo, se Dio per primo non lo avesse cercato, non gli avesse rivolto la parola, non gli avesse detto: “Adamo, dove sei?” (Gen 3,9). Così è sempre; per ogni peccatore. La Liturgia dice: “Eravamo morti a causa del peccato e incapaci di accostarci a te, ma tu nella tua misericordia ci sei venuto incontro col tuo Figlio morto e risorto per noi” (Seconda preghiera eucaristica della riconciliazione). Papa Francesco nelle sue catechesi ha detto che Dio sempre ci “premerèa”, ci precede, ci anticipa; ci viene a cercare. Siamo cercati dal Signore.
Il pastore della parabola cerca la sua pecora perduta “finchè la trova”, dice Luca. E’ una ricerca ostinata quella del pastore, una ricerca perseverante, per nessun motivo disposta ad abbandonare la pecora al suo destino. Particolare stupendo, che fa sperare la salvezza di tutti!
Alla ricerca del Signore noi dobbiamo rispondere lasciandoci cercare, lasciandoci trovare. Trovati dal pastore, noi sperimenteremo la sua misericordia. La parabola descrive l’atteggiamento buono e misericordioso del pastore nei confronti della pecora, una volta ritrovata. Non la rimprovera, non la percuote, non la spinge facendola camminare davanti a sé a forza, ma se la carica sulle spalle e la porta lui. La porta sulle spalle perché ferita, o perché spossata per il suo lungo vagare, o solo per farla sentire amata e darle tranquillità. Davvero grande è la misericordia di questo pastore! “Dio ha cura di voi”, ci ha detto l’apostolo Pietro nella prima lettura; e ricordiamo il bellissimo passo del profeta Ezechiele: “Così dice il Signore: andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia” (Ez 34,16).
Il pastore della parabola fu felicissimo d’aver trovato la sua pecora perduta: fece festa, una grande festa con gli amici. Dio è felicissimo quando un peccatore si pente e si converte: fa festa con tutto il paradiso. E, cosa grande e mirabile, quella felicità a Dio la può dare solo il peccatore pentito che si converte. Dio non può darsela da sé quella felicità, pur essendo Dio!
Ecco il grande messaggio della parabola della pecorella smarrita, e anche della parabola della dramma perduta: siamo cercati da Dio; Dio ci vuole; Dio ci cerca; Dio ci desidera a casa, nel suo ovile, dentro il suo abbraccio d’amore.
Non continuiamo a sfuggirgli, a scappargli; lasciamoci trovare. Sarà festa nel cuore di Dio, in tutto il paradiso, e anche nel nostro cuore.
don Giovanni Unterberger