Chiamati ad appartenere a Dio; tutti!

C’è un luogo in Terrasanta ove, nei miei pellegrinaggi, mi soffermo sempre con commozione: è Tabga, una località  a due chilometri da Cafarnao, sulle rive del lago di Genezareth, là ove Gesù chiamò al suo seguito Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni, i primi quattro apostoli.

Il Vangelo dice che un giorno Gesù, camminando in riva al lago, li vide mentre attendevano al lavoro di pescatori: “Gesù, passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: ‘Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini’. Andando un poco oltre, vide sulla barca anche Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello mentre riassettavano le reti, e li chiamò”(Mc 1,16-20).

Gesù “li vide”, dice il Vangelo, li vide, li guardò; forse li osservò per un po’ di tempo prima di chiamarli; guardò come lavoravano. Chissà come sarà stato lo sguardo di Gesù. Nel suo sguardo doveva esserci il suo cuore, la sua bontà, il suo amore. Lo sguardo di Gesù doveva essere lo sguardo di chi cercava collaboratori. Gesù aveva bisogno di collaboratori per la sua missione, per il Regno; collaboratori che avrebbero dovuto portare avanti il suo compito con lui e dopo di lui. Lo sguardo di Gesù dovette essere lo sguardo di chi aveva qualcosa da affidare a quegli uomini, un dono da fare loro, dono che avrebbe trasformato la loro vita, e che avrebbe dato alle loro esistenze una dimensione amplissima, straordinaria, inimmaginata.

Quei quattro uomini si sentirono guardati. Quello sguardo li colpì; colsero in quello sguardo qualcosa di grande, di profondo, di buono, di unico; e nello stesso tempo d’imperioso. Come sottrarsi a quello sguardo? Come staccare gli occhi da quegli occhi puntati su di loro, e rivolgerli di nuovo alle reti, al lago, ai pesci? Impossibile! Quello sguardo era uno sguardo che scendeva fino in fondo al cuore, e lo prendeva; gli diceva: “Ho bisogno di te; vieni con me; io ti voglio bene, e con te farò un mare di bene!” Quello sguardo era esigente, voleva tutto; ma Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni sentivano di potersi fidare di quello sguardo; quello sguardo era sincero.

Ogni vocazione nasce e ha origine da uno sguardo così. L’anima consacrata in particolare, ma ogni persona, segue il Signore perché si è sentita intercettare da uno sguardo così, perché si è sentita guardata da Gesù così.

E Gesù chiamò quei quattro uomini. “Li vide e li chiamò. Seguitemi, vi farò pescatori di uomini”. Il vangelo di Marco non dice se Gesù li abbia chiamati per nome; probabilmente Gesù conosceva il nome di due di loro, di Andrea e Giovanni; secondo il quarto Vangelo Gesù aveva già incontrato Andrea e Giovanni al Giordano (Gv 1,35-40); tutti e quattro comunque sentirono che la chiamata era rivolta a ciascuno di loro personalmente. “Tu vieni con me; tu seguimi”. La chiamata di Dio è sempre personale, è sempre rivolta alla singola persona.

“Vi farò pescatori di uomini”, disse loro Gesù. “Voi ora siete pescatori di pesci; diventerete pescatori di uomini”. Una bella differenza! Un salto di qualità immenso! Anche Matteo, che era seduto al banco delle tasse, si sentì dire: “Seguimi”, e da gabelliere fu trasformato in apostolo. “L’incontro con Cristo – ha detto recentemente papa Francesco – il lasciarsi afferrare e guidare dal suo amore, allarga l’orizzonte dell’esistenza”. Pensiamo a quanto la chiamata di Gesù a quegli uomini abbia allargato l’orizzonte della loro esistenza: Pietro divenne papa; Giovanni scrisse un Vangelo; un Vangelo lo scrisse anche Matteo. Queste persone continuano, con i loro scritti, a fare ancora oggi un bene immenso. Sarebbero rimaste sul lago tutta la vita a pescare, a riscuotere tasse tutta la vita; diventarono apostoli!

E’ sempre così quando Gesù chiama. Egli chiama solo per dare. Chiede tanto, chiede tutto e sembra spogliare, e invece dà, dona; dona un “di più”. Risentiamo alcune parole pronunciate da papa Benedetto XVI nell’omelia della Messa del suo inizio di pontificato: “Chi fa entrare Cristo nella propria vita non perde nulla, nulla – assolutamente nulla – di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No! Solo in questa amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in questa amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana. Solo in questa amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e ciò che libera. Gesù non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui riceve il centuplo. Sì, apriamo, spalanchiamo le porte a Cristo, e troveremo la vera vita”.

Quei quattro uomini non resistettero alla chiamata di Gesù, non opposero resistenza; lasciarono le reti, la barca, il padre Zebedeo e andarono con Gesù. La cosa da fare è “non opporre resistenza”. La vita spirituale non è fondamentalmente lo sforzo nostro di acquistare le virtù, lo sforzo e l’impegno nostro di vivere cristianamente; non siamo noi i protagonisti della vita spirituale; il protagonista della vita spirituale è lo Spirito Santo. Si chiama “vita spirituale” appunto perché è animata dallo Spirito Santo, perché il protagonista, l’animatore e colui che la porta avanti è lo Spirito Santo. A noi il compito di assecondare, di obbedire, di essere docili allo Spirito del Signore. Santo Stefano, quando volle rimproverare i Giudei che si chiudevano a Gesù, disse: “O gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo” (At 7,51). San Paolo esorta così gli Efesini: “Non vogliate rattristare lo Spirito Santo” (Ef 4,30). Lo Spirito Santo è lo Spirito di Gesù, è lo Spirito che ci spinge a seguire Gesù.

Noi non eravamo, quel giorno, sulle rive del lago di Genezareth, quando Gesù vi passò per cercare e chiamare persone che lo seguissero e andassero con lui. Ma Gesù è passato sulle rive della nostra vita, vi passa continuamente; ci vede, ci guarda, ci chiama. Ci chiama per un compito, per una missione, per un impegno; ci chiama per dare senso, valore, preziosità e importanza eterna alla nostra vita. Non opponiamo resistenza! Dirgli di “sì” sarà la fortuna della nostra vita.

 

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