13° Domenica dopo Pentecoste

(Gal 3,16-22;   Lc 17,11-19)

7 settembre 2014

Siamo tutti un po’ lebbrosi. Tutti. La nostra lebbra è il peccato. “Nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre”, dice il salmista (Sal 51,7). In un altro passo egli dice: “Le mie colpe mi opprimono, sono più dei capelli del mio capo” (Sal 40,13). E san Paolo afferma: “Tutti hanno peccato, e sono privi della gloria di Dio” (Rm 3,23).

Ma non abbiamo bisogno di conferme esterne; la nostra esperienza è sufficiente a convincerci che siamo peccatori; “lebbrosi”.

Molti sono i mali dell’uomo, molte sono le disgrazie – usiamo questo termine – che possono colpire e affliggere l’uomo; ma la disgrazia più grande che può colpire una vita è il peccato; esso è la grande “disgrazia”, perché ci priva della grazia di Dio, dell’amicizia con Dio.

Nella Bibbia il peccato è chiamato con vari nomi, nomi che ne indicano la caratteristica, l’essenza. Un primo nome è: “chatà’ ” ( חָטָא ). “Chatà’ ” significa “peccato” nel senso di azione che fallisce lo scopo, che non fa centro, che sbaglia obiettivo, e che quindi non realizza il bene dell’uomo. L’uomo, con l’azione peccaminosa, pensa di procurarsi felicità, successo e benessere, e invece si rovina, cade nel male.

Un secondo nome che la Bibbia dà al peccato è “ ’awòn ” ( עָוֹן ). “ ’Awòn ” significa “peccato” nel senso di “azione tortuosa, contorta”, che rende a sua volta tortuoso e contorto l’uomo. Col peccato il peccatore perde la sua linearità, la sua bellezza, la sua armonia; il peccato lo rende tortuoso, lo deforma, lo rende brutto e abietto.

Un terzo nome con cui la Bibbia chiama il peccato è “ peshà‘  ” ( פֶשֵׁע ). “ Peshà’ ” significa “peccato” nel senso di “rottura dell’alleanza, violazione del patto”. Col peccato l’uomo viene meno all’amicizia con Dio; rompe il rapporto con lui, si allontana da Dio, sua sorgente, sua radice, sua vita e salvezza.

Il peccato è la vera, grande disgrazia per l’uomo. Ce lo dice chiaramente e drammaticamente il racconto biblico del peccato originale, peccato che ha rovinato il rapporto dell’uomo con se stesso, il rapporto dell’uomo con la donna, il rapporto dell’uomo col creato, il rapporto dell’uomo con Dio; ha gettato l’uomo nell’infelicità, nel dolore e nella perdizione. Questo compie e fa ogni peccato che viene commesso.

La morte, ma non peccati”, scrisse a quindici anni san Domenico Savio sul quaderno dei suoi appunti spirituali. E davvero la morte è minor male del peccato, perché la morte non ci separa da Dio, il peccato invece sì.

Occorre fare grande attenzione al peccato, non considerarlo, superficialmente, cosa da poco. Il libro del Siracide ammonisce: “Non dire: ‘Ho peccato, e che cosa mi è successo?’, perché il Signore è paziente. Non essere troppo sicuro del perdono, tanto da aggiungere peccato a peccato. Non dire: ‘La sua misericordia è grande; mi perdonerà i molti peccati’, perché presso di lui ci sono misericordia e ira. Non aspettare a convertirti al Signore e non rimandare di giorno in giorno” (Sir 5,4-7).

Sembra, guardando il mondo, e guardando un po’ anche la nostra vita, che non sia proprio grande la paura del peccato. Esso invece è la grande, terribile “lebbra”.

Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nella tua grande bontà cancella il mio peccato. Lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato”: sono le parole del salmo 51, il  “Miserere” (Sal 51,3-4); parole che dovremmo pronunciare spesso, con umiltà e con animo contrito. I monaci del monastero benedettino di Norcia cantano il “Miserere” ogni mattina; proprio ogni mattina, non solo nei giorni feriali, ma anche la domenica.

I dieci lebbrosi del Vangelo ricorsero a Gesù per essere guariti, e Gesù li guarì. Dalla lebbra del peccato Gesù può guarire; e vuole guarirci. “Presso di lui è la misericordia e il perdono”, dice il salmo (Sal 130,4.7). “Il Signore aspetta per farvi grazia”, dice Isaia (Is 31,18). “Se anche i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana”, assicura Dio nel libro di Isaia (Is 1,18). E il profeta Michea dice: “Dio avrà pietà di noi, calpesterà le nostre colpe; getterà in fondo al mare tutti i nostri peccati” (Mi 7,19).

Il Signore è sempre pronto a perdonarci. Papa Francesco ha detto: “È più facile che ci stanchiamo noi di chiedere perdono, che Dio di perdonare”. La misericordia di Dio ci apre alla speranza; la misericordia di Dio è la speranza sopra i nostri peccati e sulla nostra vita.

Ma noi vogliamo dichiarare guerra al peccato; vogliamo combatterlo con tutte le forze. Esso è il nostro nemico. Ed esso fu, ed è, la causa della passione e morte di Gesù. La nostra lebbra è costata il sangue del Signore; per curarci dal nostro male Gesù è salito in croce e ha dato la vita. Quale medico meraviglioso! quale medico generoso fu Gesù! A lui il nostro grazie, come il lebbroso del Vangelo, e il nostro proposito: non più peccati, non più. Non più lebbra; non più offese al Signore! Accogliamo l’invito del profeta Baruc: “Come pensaste di allontanarvi da Dio, così ritornando decuplicate lo zelo per ricercarlo” (Bar 4,28) . 

don Giovanni Unterberger

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