4° Domenica di Quaresima (forma ordinaria)

(2Cron 36,14-16. 19-23;   Ef 2,4-10;   Gv 3,14-21)

Duomo di Belluno, sabato 14 marzo 2015

La prima lettura che ci è stata proclamata ci ha presentato una delle pagine più buie e più dolorose della storia del popolo di Israele. Nell’anno 597 a.C. Gerusalemme fu presa da Nabucodonosor, re di Babilonia. Il re Joiakìn, con la corte e i notabili del regno, fu deportato schiavo a Babilonia. Anche una grande massa di gente fu deportata. Come non bastasse, dieci anni dopo, nel 587, Nabucodonosor tornò con i suoi eserciti contro la città santa e la mise a ferro e a fuco in modo più terribile della prima volta: ne demolì le mura, incendiò il tempio, rase a terra case e palazzi, operò una deportazione di proporzioni ancora maggiori che non dieci anni prima. Gerusalemme rimase quasi deserta, profondamente devastata e umiliata.

Lo scrittore sacro che ripensò a quei terribili eventi, ne scorse una dimensione religiosa. Fu per l’infedeltà del popolo a Dio che tutto ciò accadde; fu per i peccati di Gerusalemme e di Israele che Israele si trovava in esilio. I profeti avevano parlato, in particolare il profeta Geremia aveva chiamato a conversione e a dare ascolto alla parola di Dio, ma nessuno gli aveva dato retta, nessuno lo aveva accolto; Geremia era stato rifiutato, disprezzato, gettato in prigione.

Il popolo si trovava esule e schiavo in terra straniera, sotto il tallone del potere di Babilonia. Chi lo avrebbe liberato? come sarebbe potuto tornare in patria? Erano già sessant’anni che Israele si trovava in esilio, e nessun segnale di riscatto si profilava all’orizzonte.

Quand’ecco, improvvisa e imprevista, la liberazione. Ciro, re dei Persiani, conquista Babilonia e il suo impero; e una volta diventato signore di numerosi popoli, decide di rimandare alla propria terra tutti coloro che i babilonesi avevano deportato. Anche Israele può ritornare in patria. Una liberazione gratuita, totalmente ricevuta, per nulla conquistata da Israele con le proprie forze, puro dono, fu la liberazione di Israele! Per la magnanimità di Ciro.

C’è un “Ciro” ben più grande di Ciro! Noi abbiamo un “Ciro”, un liberatore, un salvatore ben più magnanimo di quell’antico re: è Cristo Gesù. Anche noi eravamo a “Babilonia”, schiavi non di un potere umano, ma di un potere diabolico, il potere di Satana, il potere del peccato. Un potere più forte di noi, da cui noi con le nostre forze e con i nostri sforzi non saremmo mai riusciti a liberarci; un potere sotto il quale saremmo caduti sempre più profondamente e sempre più miseramente, se Gesù, “novello Ciro”, non si fosse preso cura di noi e non fosse venuto a liberarci.

Ed egli venne a liberarci e a salvarci non con una parola, non con un semplice decreto, come fece Ciro che con un decreto lascò andare liberi i deportati; ma venne a liberarci con la sua vita. E non ci liberò, Gesù, rimanendo tranquillo sul suo trono di gloria, come fece Ciro, ma ci liberò con la croce, salendo il trono doloroso della croce! E per amore, non per convenienza politica come fece Ciro con Israele.

Gesù ci ha liberati con una liberazione che è puro dono. San Paolo nella seconda lettura ce lo ha detto con forza: “Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con cui ci ha amati, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo. In Cristo Gesù Dio ha fatto risplendere la straordinaria ricchezza della sua grazia; per grazia infatti siete stati salvati; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene”. Gesù ci ha liberati. Siamo stati liberati da Gesù. Giovanni ci ha detto nel Vangelo: “Chi guarda al Figlio dell’uomo innalzato sulla croce e crede in lui ha la vita eterna e non va perduto, perché il Figlio dell’uomo è disceso dal cielo non per condannare il mondo, ma per salvare il mondo”.

Abbiamo un liberatore; un liberatore che ci ha liberati e che continua a liberarci! La sua opera di liberazione è un’opera di sempre, di tutti i giorni, perché noi di continuo ritorniamo e ricadiamo schiavi di “Babilonia”, schiavi del peccato; ed egli, Gesù, continuamente ci riscatta, ci libera, ci riporta “a casa”, ci stringe a sé, nostra patria.

Questa domenica, quarta di quaresima, è la domenica detta “Laetare”; prende il nome dalle prime parole dell’antifona d’ingresso che dice: “Rallegrati, Gerusalemme”, in latino: “Laetare, Jerusalem”. E’ un invito alla gioia; in questa domenica il colore dei paramenti del sacerdote è il rosaceo, sull’altare ci sono i fiori, l’organo suona liberamente e non solo per accompagnare i canti. E’ domenica di gioia, domenica “Laetare”!

Abbiamo un grande motivo di gioia e di allegrezza: siamo stati portati a salvezza, strappati dalla schiavitù del male, del peccato, della perdizione. Vorremo ringraziare all’infinito Cristo Gesù; vorremo lodarlo, dirgli che gli siamo grati; dirgli che per riconoscenza ci lasceremo da lui liberare sempre di più, perché egli ci possa portare a quella bontà di vita e a quella santità che egli ha pensato per noi.

 

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