4a Domenica dopo Pasqua (forma straordinaria)

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Giac 1,17-21;   Gv 16,5-14

Belluno, chiesa di s. Stefano, 14 maggio 2017

 

Gesù è mistero. Di lui qualcosa conosciamo: conosciamo che visse in Palestina duemila anni fa; che predicò e compì miracoli; che morì in croce e che risuscitò; che salì al cielo. Sappiamo che era il Figlio di Dio, Dio egli stesso; e che morendo e risorgendo ci ha salvati e redenti dai nostri peccati. Conosciamo molte sue parole. Ma non tutto conosciamo di lui; egli ci è ancora mistero.

Nel Vangelo che abbiamo ora ascoltato egli stesso si dice tale, cerca di far capire agli apostoli che egli per loro è realtà non ancora del tutto nota, nota solo in parte; che  molto di lui essi ancora non sanno; e lamenta la loro poca curiosità, il loro poco desiderio di conoscerlo di più in ciò che egli è. Gesù dice agli apostoli durante l’ultima cena: “Ora vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: Dove vai?”. Gesù sta per morire, risorgere e ricongiungersi al Padre: cosa grande e misteriosa. Come capire che cosa veramente ciò significava; in che cosa consisteva; quali effetti avrebbe procurato al mondo e ad ogni vita? Gli apostoli non chiedono, non domandano, non penetrano il mistero di Gesù, mentre Gesù avrebbe desiderato tanto di essere conosciuto.

Quanto di lui ancora anche a noi resta mistero! Che cosa vorrà dire: “Io ho un’acqua viva; chi beve di quest’acqua non avrà più sete in eterno”? (Gv 4,14). Che cosa vorrà dire: “Rimante in me e io in voi”? (Gv 15,4); “Io e il Padre siamo una cosa sola”? (Gv 10,30); “Io sono la luce del mondo” (Gv 8,12); “Io sono il vostro buon pastore”? (Gv 10,14). Quali profondità si nascondono in queste parole!

Sì, le parole le comprendiamo, ma le realtà grandi che esse contengono noi le comprendiamo fino in fondo? Riusciamo a capirle fino a che esse diventino vita della nostra vita, sostanza del nostro essere? Per conoscere Cristo non è sufficiente ‘sapere’ di lui; è necessario ‘farne esperienza’.

San Paolo dice di Gesù: “In Cristo abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9); “Tutto fu fatto per mezzo di lui e in vista di lui; tutte le cose in lui sussistono; egli è il capo del corpo che è la Chiesa” (Col 1,16-18). Riusciamo noi ad andare fino in fondo a tali realtà? Dobbiamo riconoscere di avere ancora molta strada da fare per conoscere davvero Gesù, così che egli ci diventi persona nota, conosciuta, del tutto familiare.

A ciò si aggiungono le sue parole: “Ho molte cose ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso”. Gesù ha ancora molto da dirci di sé; e per potercelo dire ha bisogno di trovare cuori che lo desiderano, vite che sanno fare silenzio, volontà che lo cercano. Cercare il Signore, desiderare il Signore, volerlo conoscere è segno di amore. “A chi mi ama mi manifesterò”, egli ha detto (Gv 14,21). Se ameremo Gesù spendendo tempo per stare con lui, sforzandoci di compiere le cose che a lui sono gradite, tenendolo presente in tutto ciò che facciamo, egli ci si rivelerà, ci si manifesterà sempre di più. E non con una conoscenza puramente intellettuale, ma con una conoscenza vitale, fatta di comunione e di amicizia, di condivisione e di amore. Sarà il conoscere davvero che cosa significhi e che cose sia: “Io sono in voi e voi in me” (Gv 15,4) !

E che cosa c’è di più grande, di più esaltante, di più salvifico che essere un tutt’uno con Gesù, il Figlio di Dio?

don Giovanni Unterberger

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