14^ Domenica del Tempo ordinario (rito ordinario)

(Ez 2,2-5;   2Cor 12,7-10;   Mc 6,1-6)

Duomo di Belluno, sabato 7 luglio 2018

L’impermeabilità può essere un bene e può essere un male. Piove, e hai addosso un impermeabile, un tessuto che non lascia passare l’acqua: quell’impermeabilità è buona; impedisce che tu abbia a bagnarti. Piove, e il terreno è argilloso, impermeabile, non lascia filtrare l’acqua: quell’impermeabilità è cattiva; non permette al terreno di essere fecondato dalla pioggia e portare frutto.

L’impermeabilità degli abitanti di Nazareth, quel giorno, fu del secondo tipo, e fu un male, un grande male. Avevano con sé, tra di loro, Gesù, il salvatore, Dio stesso, che avrebbe potuto arrecare loro doni straordinari di guarigione e di salvezza, e la loro impermeabilità a lui, alle sue parole e alla sua azione impedì al Signore di operare. Il Vangelo ci ha detto che Gesù non poté compiere nessun prodigio, se non imporre le mani a pochi malati.

E sì che gli elementi per lasciarsi permeare dal Signore e dal suo bene, quei nazarethani li avevano tutti! Stavano ascoltando parole di una sapienza mai udita, avevano in mente miracoli e prodigi che Gesù aveva già altrove compito; dicevano tra sé: “Da dove gli vengono queste cose? e che sapienza è mai quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani?” Rimanevano stupiti, ma il loro stupore e la loro meraviglia non furono capaci di scalfire i loro cuori. Perché? Come mai?

Le loro menti erano imprigionate entro rigidi schemi: “Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Joses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?”, si dicevano. I nazarethani conoscevano Gesù da più di trent’anni, l’avevano visto lavorare, andare in sinagoga; l’avevano incontrato molte volte per la strada, avevano parlato con lui: si erano fatti di lui una certa immagine. Ora il Gesù che avevano davanti sembrava essere tutta un’altra cosa, quasi un’altra persona; non sembrava più lui. Come credergli?

E’ il problema di tutti. Ogni persona nasce, cresce, si forma in un certo ambiente. Esperienze, circostanze, situazioni concrete formano e forgiano la sua personalità. E’ pressoché impossibile che una persona non si crei determinati schemi in mente, un certo modo di pensare, di vedere le cose, di sentire. “Tot càpita, tot sentèntiae”, dicevano gli antichi latini: quante le teste, altrettante le opinioni. Il pericolo è di rimanere imprigionati entro i propri schemi mentali, rimanere chiusi e non aperti al diverso.

Gli antichi greci espressero ciò col celebre mito di Procuste. Procuste era un gigante che viveva solitario. Quando vedeva passare una persona nei pressi della sua caverna, la afferrava e la stendeva su un letto di ferro che egli aveva costruito. Se la persona era più lunga del letto, le tagliava le gambe; se era più corta, la stirava fino a farle occupare l’intera lunghezza del letto. Tutti noi rischiamo di avere dentro di noi una specie di letto di Procuste, tendere a far rientrare tutto entro la propria personale misura. E’ necessario invece rimanere aperti, aperti in un atteggiamento di dialogo e di sincero confronto.

L’apostolo Paolo, scrivendo ai Tessalonicesi, esorta: “Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono” (1Ts 5,21). Occorre considerare tutto, vagliare tutto, perché da tutto è possibile trarre qualcosa di buono e di utile. Certo, noi conosciamo il criterio ultimo e fondamentale che deve guidarci nel dialogo e nel confronto, nell’esame di ogni cosa: è la verità di Dio, è il Vangelo con i suoi criteri. La verità di Dio è la vera bussola, la bussola sicura, per ogni autentico discernimento.

Ci dia il Signore mente e cuori aperti al dialogo e al confronto, con in mano la luce e la bussola della sua verità.

don Giovanni Unterberger

Questa voce è stata pubblicata in Omelie di Don Giovanni. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.