Giovedì Santo

Tintoretto – La lavanda dei piedi – 1548

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(Es 12,1-8. 11-14;   1Cor 11,23-26;   Gv 13,1-15)

18 aprile 2019

La lavanda dei piedi di Gesù agli apostoli la sera della cena pasquale, è l’episodio che introduce i cinque capitoli che l’evangelista Giovanni dedica all’ultimo intrattenersi di Gesù con i dodici, nel cenacolo, prima di patire e morire. Sono capitoli di un’intensità grandissima, di un pathos profondo: sono il parlare di Gesù cuore a cuore con i suoi amici più cari, il confidarsi con loro.

Gesù si fa dolce e tenero più che sempre: inizia lavando loro i piedi. Gli apostoli non erano del tutto puliti: non tanto nel corpo, quanto nell’anima. La lavanda dei piedi stava a indicare il lavacro che Gesù avrebbe donato loro all’indomani, lavacro di sangue dalla croce; lavacro che avrebbe reso pulite le loro anime da ogni colpa.

Gesù lava anche noi. Anche noi abbiamo bisogno di essere lavati, non siamo puliti. Non siamo puliti! Quante macchie, quanta sporcizia e quanti peccati nella nostra anima… “Lavami, Signore, e sarò mondato; purificami e sarò più bianco della neve”, recita il salmo (Sal 51,9). Gesù, con amore, si china fino a terra a lavarci i piedi, cioè si abbassa fino a noi e ci lava dalle colpe esattamente là dove esse sono e dove ci hanno gettati, nel profondo di dove, peccatori, ci troviamo.

“Vi ho chiamati amici”, continuò Gesù quella sera (Gv 15,15). Gesù conosceva bene i suoi apostoli: non erano perfetti, non erano santi; di lì a breve lo avrebbero rinnegato, tradito, abbandonato. Eppure li chiamò ‘amici’. Che cuore il cuore di Gesù! che capacità di amare! Con lo stesso nome -amici- egli chiama anche noi; anche noi imperfetti, difettosi e inaffidabili come gli apostoli; eppure ‘amici’; suoi amici! Come faccia ad accettarci per tali, è un mistero; ma egli è buono, e noi siamo da lui amati!

“Avrete tribolazioni nel mondo, ma non vi lascerò orfani, tornerò da voi; vi manderò lo Spirito Santo”, disse ancora quella sera Gesù ai dodici (Gv 14,18; 15,26; 16,20). Gesù non avrebbe potuto abbandonare i suoi amici; quando si vuole veramente bene a una persona non la si abbandona più. Agli apostoli Gesù predisse che avrebbero avuto tribolazioni e fatiche, ma assicurò la sua presenza: egli non li avrebbe lasciati soli.

Neppure noi siamo lasciati soli; “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” è la sua promessa (Mt 28,20), promessa che egli mantiene. Quella sera Gesù istituì l’Eucaristia, donò un pane che non era più pane, un vino che non era più vino; un pane e un vino che erano lui stesso, lui in persona. Noi possediamo quel pane, quel vino; possediamo il Signore! Il Signore è con noi, è qui; noi lo possiamo prendere, mangiare, cibarci di lui, domandargli che nelle nostre tribolazioni e fatiche ci sostenga, ci dia forza, fiducia, speranza, conforto. Signore, sii la nostra forza!

Il brano di Vangelo che abbiamo appena ascoltato iniziava così: “Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”. Gesù ci ha amati fino all’esaurimento di sé, fino alla morte. Poteva fare più di quanto ha fatto per dimostrarci che ci voleva bene? Perché facciamo ancora tanta fatica a credere di essere amati? Perché lo amiamo ancora tanto poco?

don Giovanni Unterberger

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