Solennità di Cristo Re (forma ordinaria)

Leonardo da Vinci – Salvator Mundi – 1500 ca.

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(Ez 34,11-12. 15-17;   1Cor 15,20-26. 28;   Mt 25,31-46)

Duomo di Belluno, 22 novembre 2020

Questa domenica è l’ultima dell’Anno liturgico, e in questa domenica la Chiesa ha fissato la festa di Cristo Re. Perché in questa domenica? Non avrebbe potuto fissarla in qualsiasi altra domenica dell’Anno?  Scegliendo di celebrarla a conclusione dell’Anno liturgico, la Chiesa ha voluto darci un preciso messaggio: tutto il cammino di un anno, tutte le celebrazioni dei misteri di Cristo (il Natale, la Pasqua, la Pentecoste), le feste di Maria e dei Santi; tutte le grazie inerenti e contenute in questi misteri avevano un unico scopo, quello di renderci capaci di riconoscere la regalità di Cristo e accogliere la sua signoria sulla nostra vita; farci diventare sudditi fedeli del Signore. In effetti, di tutte le grazie dei misteri di Cristo avevamo bisogno per accogliere su di noi la signoria di Dio.

Molte forze, infatti, combattono dentro di noi contro di essa: non solo la nostra costitutiva debolezza davanti al bene e alla virtù, ma poi i nostri vizi e le nostre cattive passioni, il nostri ‘io’ che tende a sostituirsi a Dio, le suggestioni e i richiami del mondo, le tentazioni e le insidie del diavolo. Davvero siamo in mezzo ad una lotta che vorrebbe vederci ribelli, anziché obbedienti! Di Dio o senza Dio? Di Dio o conto Dio? Di Cristo o non di Cristo?

Ma chi è questo Re? E’ un Re ‘per noi’? Se è ‘per noi’, ci assoggettiamo volentieri.  La prima lettura ce lo ha presentato come un pastore, un pastore  buono che ha un gregge; un gregge a cui è affezionato, che segue e di cui ha cura. Nessuna delle sue pecore gli sfugge; se una si fosse perduta, egli la va a cercare; se una si fosse ferita, egli la medica e la fascia; le pecore malate egli le cura, e quelle sane e forti le custodisce e protegge. Sono nel libro del profeta Ezechiele quest’immagine e queste parole, Antico Testamento; e l’evangelista Giovanni porta avanti quest’immagine, e parla di Gesù quale pastore straordinariamente buono, che non solo cerca, fascia, cura e custodisce le sue pecore, ma addirittura dà la vita per esse (cfr Gv 10,1-15). Daniel Ange alcuni anni fa scrisse un interessante libretto su Gesù, dal titolo ‘Il pastore ferito’.

Re-pastore è il nostro Re; a noi essergli pecore docili e obbedienti. Forse che non ci condurrà per la via giusta? forse che non ci nutrirà con pascoli capaci di saziare il nostro cuore, e non ci assicurerà l’acqua che calma e vince la nostra sete di felicità? Che bello il salmo 23, il salmo del pastore, che abbiamo appena recitato! Da imparare a memoria…

Ma quel Re che si prende cura di noi ci domanda una cosa: che a nostra volta noi sappiamo prenderci cura gli uni degli altri. Il suo stile egli vuole che diventi il nostro stile; il suo regno egli vuole che sia un regno di bontà, di fraternità, di aiuto vicendevole, di solidarietà e di pace. Il brano di Vangelo ce lo ha presentato seduto su di un trono; è un re che è anche giudice. Davanti a lui si raduneranno tutti i popoli, e ad ognuno, singolarmente, ad una persona dopo l’altra, non a tutti insieme, ma a ciascuno, a me di preciso, egli chiederà: “tu, hai dato da mangiare a chi aveva fame, hai dato da bere a chi aveva sete, hai accolto chi era nel bisogno, ti sei preso cura del malato e del debole…?” E io dovrò rispondere; io, singolarmente, a nome mio personale; non potrò, in quel momento, nascondermi nella folla e dietro nessuno. Beato me, beato ciascuno, se potrà sentirsi dire: “Vieni, benedetto del Padre mio, ricevi in eredità il regno preparato per te fin dalla creazione del mondo”!

Il nostro Re è un Re che ci custodisce e vuole che ci custodiamo. E’ questo il suo modo di volerci bene e di governarci: che ci sentiamo custoditi, e che, a nostra volta, siamo dei custodi.

don Giovanni Unterberger

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