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(Tt 3,4-7 : Lc 2,15-20)
risalente a 25 dicembre 2011
La Messa di mezzanotte del giorno di Natale è la Messa degli angeli; degli angeli che annunciano ai pastori la nascita di Gesù, il Salvatore del mondo, in un tripudio di luce, di danze nel cielo e di canti. La Messa dell’aurora è la Messa dei pastori; dei pastori che si mettono in movimento e vanno alla grotta. “Andiamo fino a Betlemme -dicono- e vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”.
Bravi quei pastori, che andarono, che andarono senza ancora aver capito tutto, senza aver ancora tutto chiaro davanti a sé; ma certamente lo spettacolo degli angeli loro apparsi e l’annuncio straordinario loro dato era qualcosa di eccezionale, che non poteva essere disatteso e che bisognava seguire. E andarono; andarono nella notte, forse un po’ insonnoliti e piuttosto infreddoliti, ma andarono.
Che grazia per loro essere stati chiamati! E chiamati per primi, essi che erano gli ultimi in Israele. I pastori in Israele erano gli ultimi, considerati gente abietta; erano emarginati dal punto di vista territoriale (tenuti lontani dai luoghi abitati); emarginati dal punto di vista sociale (non avevano alcun diritto civile e non prendevano parte alla vita della città, dei villaggi); emarginati dal punto di vista religioso (considerati impuri, perché non rispettavano -e come avrebbero potuto?- le prescrizioni della Legge di Mosè circa le abluzioni, i cibi puri e impuri, il riposo del sabato, le feste…; ed era loro precluso anche l’accesso al tempio). Erano gli ultimi, i pastori, e proprio ad essi venne dato per primi l’annuncio. Dio è un Dio che cerca i poveri, che cerca i non considerati, i giudicati, gli esclusi, gli emarginati, gli indegni agli occhi degli uomini. Egli parte da loro per il cammino di salvezza, per il recupero di tutti, del mondo intero.
I pastori andarono, quella notte. Il loro cuore era libero, sgombro, capace di stupore, aperto al sorprendente e all’inatteso; avevano un cuore da bambino, capace di lasciarsi chiamare, muovere, smuovere.
E che cosa trovarono? che cosa trovarono a Betlemme? Trovarono un bambino. Gli angeli avevano detto loro: “Troverete il Salvatore del mondo, troverete il Messia atteso da secoli, il Signore, il Kyrios ( Κΰριος ), cioè il dominatore del mondo e di tutto”; e trovarono un bambino. E lo trovarono che giaceva in una mangiatoia. Che trono singolare una mangiatoia da animali per il Salvatore del mondo! I pastori non avranno capito in quella notte che quel bambino era addirittura Dio, e non solo un Messia uomo, ma Dio stesso fatto uomo, il Figlio di Dio diventato nostra carne. Noi lo sappiamo; e come i pastori, anzi più dei pastori, ci inginocchiamo ad adorare, stupefatti e quasi increduli che una cosa così grande possa essere accaduta, che Dio nato uomo sia stato deposto in una mangiatoia da animali.
A quella mangiatoia si cibavano il bue, l’asino, la pecora; a quella mangiatoia ora possiamo cibarci noi. Betlemme, “bet-lèchem” ( בֵית־לֶחֶם ), significa “casa del pane”. Forse non è un caso; no, non è un caso! da sempre Dio ha disposto che suo Figlio nascesse a Betlemme, “casa del pane”, lui che si sarebbe fatto “pane” per noi. Fu deposto in una mangiatoia, là dove si mette il cibo per gli animali, perché fosse evidente che il Figlio di Dio si sarebbe fatto cibo dell’uomo. Con la sua parola, con la sua opera, con la sua vita, con la sua stessa persona Gesù, nato a Betlemme, è diventato nostro cibo. La sua Paraola, l’Eucaristia, i Sacramenti della Chiesa sono nutrimento finissimo, sono viatico per noi che camminiamo nella vita. No, Dio non ci ha lasciati senza cibo, senza pane, senza parola che nutre! Abbiamo tutto! Abbiamo Lui!
Ed allora come i pastori, anzi ben più dei pastori, partiamo da questa mangiatoia, da questa chiesa, da questo giorno di Natale “lodando e glorificando Dio per quello che abbiamo visto e udito”, e raccontando a tutti quanto è accaduto, quanto “ci” è accaduto. Non lo racconteremo forse a parole, non sarà forse necessario che lo raccontiamo a parole, perché lo racconterà la nostra gioia, il nostro gaudio, la nostra letizia; il nostro Natale.