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(Rm 12,6-12 ; Gv 2,1-11)
risalente al 15 gennaio 2012
San Paolo oggi è stato esagerato con noi, ha perso la misura. In soli undici versetti della sua lettera ai Romani ci ha messo davanti, tra imperativi e congiuntivi esortativi, ventinove cose da fare, ventinove impegni. San Paolo dovrebbe sapere che a stento riusciamo a mettere in pratica due o tre propositi alla volta; per cui abbia pazienza, faremo quello che con la nostra buona volontà, e con la grazia di Dio, ci riuscirà di fare.
A dire il vero, tutte le cose che san Paolo ci ha messo davanti possono essere raggruppate attorno a due centri, quasi due fuochi di una elisse attorno a cui ruotano; il “Tu” di Dio, e il “tu” del prossimo. Il “Tu” di Dio: “Siate ferventi nello spirito, perseveranti nella preghiera, servite il Signore”; e il “tu” del prossimo: “Siate solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell’ospitalità, gareggiate nello stimarvi a vicenda”.
La questione, sembra dirci san Paolo, è quella di vivere per un “tu”, essere aperti ad un “tu”, in relazione con un “tu”. Ben sapeva l’apostolo che la tentazione più forte dell’uomo è quella di vivere per se stessi, chiusi in sé, fatti centro dell’universo. Una chiusura che potrebbe esprimersi ed invadere perfino il campo religioso; di fatti la spiritualità ebraica al tempo di Paolo, e quella che lui stesso praticò da fariseo prima della conversione, era quella del tentativo di costruirsi da sé una propria perfezione e una propria santità davanti a Dio. La chiusura di fronte a Dio andava di pari passo con la chiusura al prossimo; i farisei si tenevano ben distanti dai pubblicani, dai samaritani, dai pagani, da tutti coloro che a loro giudizio non praticavano la via corretta e giusta.
San Paolo ci apre ad un “tu”.
Dio è il primo e grande “Tu” a cui essere aperti. Veniamo da lui, esistiamo grazie a lui, tutto riceviamo in ogni istante di vita da lui; verso chi allora dobbiamo essere rivolti se non a lui, come fiumi alla sorgente, come girasoli al sole, come neonati al seno della madre? Eppure l’uomo quante volte si dimentica di quel “Tu”, lo trascura, lo disattende, pensa di poterne fare a meno, gli è distratto, sordo, irriconoscente! Ma quel “Tu” continua ad essere lì, fedele all’uomo, sempre presente all’uomo, sempre di nuovo e in ogni momento incontrabile dall’uomo, non appena che l’uomo si rivolga di nuovo a lui.
“Servite il Signore”, esorta san Paolo. “Tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù” (Col 3,17); “sia che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio” (1Cor 10,31) Il “Tu” di Dio deve diventare l’interlocutore primo e di ogni istante dell’uomo, di ogni respiro, di ogni battito del suo cuore, di ogni suo pensiero, di ogni suo moto di volontà; di tutto, di tutto!
E poi il “tu” del prossimo. Anche il “tu” del prossimo deve interpellare l’uomo. Non è vita umana, non è vita degna dell’uomo, quella vissuta senza il “tu” del prossimo, senza scambio, senza comunione col prossimo, a cominciare dalla comunione col prossimo più prossimo. L’uomo nella sua superbia può arrivare a pensarsi solo e autosufficiente, non debitore a nessuno e bastante a se stesso, con diritto quindi di fare degli altri quello che vuole, di trattare gli altri come vuole; e questo è l’inganno, il grande inganno! Siamo invece strutturalmente relazione, siamo fin nell’ultima fibra del nostro essere fatti per la comunione; solo nell’apertura al “tu” troviamo vita, senso, pace e ricchezza.
E’ vero, l’apertura al “tu” del prossimo alle volte è difficile, è faticosa, perfino dolorosa, ma è la strada, l’unica strada. Non dobbiamo venir meno su questa strada, non dobbiamo desistere. Alla fine vedremo che essa era la strada giusta, e non ce ne pentiremo. Del resto è la strada di Dio, che è un “Tu” aperto , per il quale, meraviglia delle meraviglie, noi siamo il suo “tu” amato e ricercato!