3^ domenica di Quaresima – forma straordinaria

Piero del Pollaiolo – Carità – 1469

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( Ef 5,1-9; Lc 11,14-28)

Domenica 20 marzo, risalente all’11 marzo 2012

            San Paolo, nella prima lettura che abbiamo ascoltato, propone due obiettivi di impegno spirituale agli Efesini; e a noi. Il primo obiettivo potrebbe essere definito, con un’espressione classica latina, la “pars destruens” e il secondo obiettivo potrebbe essere definito la “pars construens”.

“Pars destruens” significa qualcosa che va distrutto, che va eliminato, che va lasciato; e “pars construens” significa qualcosa che va costruito, che va perseguito e coltivato.

Cos’è che va distrutto ed eliminato? qual è la “pars destruens”? Dice Paolo: “Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi; lo stesso si dica per le volgarità, insulsaggini, trivialità: cose tutte sconvenienti”.

            Paolo scrive ai cristiani di Efeso, città popolosa, porto di mare, segnata da vita licenziosa e scostumata. Paolo vuole riscattare i suoi cristiani da comportamenti sessualmente scorretti in cui potrebbero ricadere (pur essendosi convertiti a Cristo), a causa del poco tempo dacchè sono diventati cristiani, e a causa del richiamo che l’ambiente pagano e lascivo di Efeso poteva esercitare su di loro.

            E si mostra deciso; non solo chiede che non si pratichino comportamenti contrari alla castità, ma chiede che neppure nel linguaggio, nei modi di dire, nelle conversazioni si accenni a cose poco edificanti, evitando così del tutto il turpiloquio. L’impurità è qualcosa che abbrutisce l’uomo. L’impurità gli rende oscuro il cuore. “La sapienza di Dio – dice il libro della Sapienza – non abita in un corpo schiavo del peccato” (Sap 1,4). È sempre attuale e necessaria per tutti la bella preghiera del libro del Siracide: “Signore, padre e Dio della mia vita, non mettermi in balìa di sguardi sfrontati e allontana da me la concupiscenza. Sensualità e libidine non si impadroniscano di me; a desideri vergognosi non mi abbandonare” (Sir 23,4-6).

            Dopo la “pars destruens”, Paolo indica la “pars construens”. Egli chiede ai cristiani di Efeso una cosa straordinaria, chiede di costruire e di impegnarsi in un’impresa che ha dell’inverosimile: “fatevi imitatori di Dio”, imitate Dio, fate come fa lui.

            Poteva l’apostolo chiedere e proporre una cosa più alta, una mèta più sublime di questa? e più ardua di questa? Ecco subito l’obiezione che ci nasce in cuore: “non ce la farò mai; è cosa impossibile imitare Dio, così come è impossibile mettere in pratica quello che Gesù ha chiesto quando disse: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48).

            Questa obiezione è terribile, e quanto mai da respingere, si mette di traverso proprio all’inizio di ogni cammino, toglie forza ad ogni sforzo, tronca il respiro e paralizza qualsiasi movimento.

            Ma come continua San Paolo il suo dire? Dice: “camminate nella carità”. Certo, una carità non qualsiasi, perché aggiunge subito: “al modo che Cristo ci ha amati e ha dato se stesso per noi, offrendosi in sacrificio di soave odore”. La carità è il modo di imitare Dio; sì, perché Dio è carità, è amore (1Gv 4,8), e lo si imita amando.

            E la carità che ci è richiesta è nientemeno che la carità di Cristo, una carità che arriva fino al sacrificio di sé, come fu la carità di Cristo che salì in croce.

            Ma Paolo dice: “camminate”, camminate nella carità. È importante tenere conto che quel “camminate”, nella forma greca del verbo usata da Paolo, è un imperativo presente, che, alla lettera, tradotto nel suo significato preciso, dice: “continuate a camminare, mettete un passo dopo l’altro” sulla via della carità. Fate un passo dopo l’altro, compite azione dopo azione, nella carità. Non spaventatevi davanti a “tutto” il cammino da compiere; se guardate tutto il cammino da compiere in una volta sola e lo cogliete con un unico sguardo vi scoraggerete, e non muoverete neppure il primo passo. Ma non è così che dovete fare; concentratevi su azione dopo azione, su momento di vita dopo momento di vita, e vedrete che una cosa alla volta riuscirete a farla bene, riuscirete con la grazia di Dio e con l’impegno che vi chiede quel preciso momento, a compierlo e a viverlo nella carità.

            C’è una “pars destruens” e una “pars construens” da fare nella nostra vita. La vita è tempo di lavoro, di impegno; non può essere che il tempo della vita, i giorni, i mesi, gli anni passino senza che noi lavoriamo su di noi. Sarà dolce e bello trovarci somiglianti a Dio il giorno in cui lo incontreremo per essere con lui per l’eternità.

don Giovanni Unterberger

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