14° Domenica dopo Pentecoste 2017 (forma straordinaria)

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Gal 5,16-24;   Mt 6,24-33

Belluno, chiesa di s. Pietro, 10 settembre 2017

 

Due pagine bibliche di straordinaria forza, quelle che abbiamo ora ascoltato: il Vangelo, canto della Provvidenza; e l’epistola di san Paolo, lotta tra ‘carne’ e ‘spirito’. Due pagine diverse, ma che possono essere tra loro avvicinate.

Gesù, quel giorno, sulle colline di Galilea, parlò di Provvidenza; ne parlò con estrema sicurezza e forza. Abbiamo sentito: “Non preoccupatevi di quello che mangerete… guardate gli uccelli del cielo… guardate come crescono i gigli del campo… non siate dunque preoccupati… cercate come prima cosa il Regno di Dio…”. Una serie di imperativi, un insegnamento impartito con autorità.

Chissà con quanta tenerezza e con quale sguardo di compassione Gesù avrà guardato la folla che aveva davanti a sé, gente povera, che faceva fatica a vivere; gente dominata e sfruttata da un potere straniero. Proprio la tenerezza e la compassione per quella gente, per le sue preoccupazioni, per le sue ansie e per le sue difficoltà nel vivere, avranno spinto Gesù a parlare con forza della Provvidenza di Dio.

Dio è Padre, Dio sa ciò di cui abbiamo bisogno; Dio non si dimentica di noi; Dio sostiene tutto con il suo potere. Di questa assicurazione abbiamo grande necessità noi tanto insicuri, tanto esposti a imprevisti e a situazioni difficili e dolorose di vita. La fede nella Provvidenza è balsamo e medicina, è vero ‘tranquillante’, più tranquillante dei tranquillanti che possono prescrivere i medici e dispensare le farmacie. La fede dà fiducia, dà serenità, dà pace e sicurezza; è addirittura prevenzione da malattie fisiche, del corpo.

Il Signore ci dia questa fede forte, ci doni di sentirci come il salmista del salmo 131: “Io sono quieto e sereno, come un bimbo svezzato in braccio a sua madre” (Sal 131,2). Un bambino in braccio a sua madre non ha paura di nulla, di nulla; neppure se intorno c’è il temporale, la tormenta, l’uragano. Il bambino è tranquillo, in braccio a sua madre. Così l’uomo di fede.

La prima lettura che abbiamo ascoltato, dell’apostolo Paolo, ci spinge ad un ulteriore passo. L’apostolo, parlando di ‘carene’ e ‘spirito’, di ‘carne, cioè di natura rovinata dalle passioni cattive, che lotta e combatte contro lo spirito buono che è in noi e che vuole fare il bene, ci mette davanti la nostra responsabilità nei confronti di noi stessi. A noi è affidato l’esito della lotta tra ‘carne’ e ‘spirito’; esso è affidato alla nostra volontà; è messo nelle nostre mani. Dio ha cura di noi, ma anche noi dobbiamo avere cura di noi stessi. Dio è provvidenza per noi, e anche noi lo dobbiamo essere per noi. Ed è somma ‘provvidenza’ a se stesso colui che fa vincere in sé, con l’aiuto della grazia di Dio, lo ‘spirito’ sulla ‘carne’, la fedeltà a Dio sui propri istinti cattivi; colui che “crocifigge -come dice san Paolo- la sua carne con le sue passioni e le sue concupiscenze”, così da assicurarsi il frutto dello Spirito, che è “amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”. Essere ‘provvidenza’ a se stessi vuol dire fare ciò, per assicurarsi il Regno, la salvezza, il paradiso.

Siamo ‘oggetto’ di provvidenza, dobbiamo essere anche ‘soggetto’ di provvidenza. Sia questa parola, ‘provvidenza’, la parola che ci accompagna in questa settimana: essa opererà in noi e nella nostra vita.

don Giovanni Unterberger

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