18^ domenica del Tempo Ordinario

Icona – Pani e pesci

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(Es 16,2-4.12-15; Ef 4,17.20-24; Gv 6,24-35)

risalente a Duomo, sabato 4 agosto 2012

Un pane dal cielo. L’uomo ha bisogno di pane, di pane materiale, e il Signore lo sa. Gesù un giorno, sulle colline di Galilea, moltiplicò il pane materiale per la folla affamata, mostrando la sua sollecitudine per ciò di cui il corpo dell’uomo ha bisogno; l’abbiamo meditato sabato scorso.

Ma l’uomo non è solo corpo, è anche spirito; e “Non di solo pane vive l’uomo”, dice la Parola di Dio (Dt 8,3).

Dio ci ha provveduto un pane dal Cielo che nutre il nostro spirito e sazia la fame e la sete che segnano e tormentano il nostro cuore.

Il nostro cuore ha bisogno di felicità, ha bisogno di speranza, di pace, di fraternità, di sicurezza, di vita che non finisce; ha bisogno di santità. Dove troverà l’uomo questo pane? Sarà capace l’uomo di darselo e di procurarselo da sé?

L’uomo cerca questo pane in mille dispense di questo mondo, e si illude spesso di trovarlo; ma questo pane viene dal Cielo, è pane celeste; è il pane che solo il Padre ci può dare.

Questo pane ha un nome: si chiama Gesù.

Gesù è il pane. Le folle lo cercavano, i malati si sforzavano di toccarlo, i peccatori sentivano il bisogno di lui e del suo perdono. I discepoli e le persone che più gli davano ascolto e che lo seguivano più da vicino, piano piano venivano trasformate, cambiavano abitudini di vita e diventavano diverse, cominciavano ad assomigliargli, diventavano sante.

Quel pane, quel Gesù, noi l’abbiamo e lo possediamo; l’abbiamo ogni volta che veniamo a Messa, ogni volta che un sacerdote dice, su del pane di frumento, “questo è il mio corpo”; in quel momento noi abbiamo quel pane, quel pane disceso dal Cielo; abbiamo Gesù.

Egli è il Santo, il Santo di Dio.

Così lo chiamava la gente di Palestina, e così lo chiamavano perfino i demoni: “Tu sei il Santo di Dio” (Mc 1,24). Gesù, il Santo di Dio, entra in noi per farci santi. Egli ha scelto, per unirsi a noi, il segno del pane; pane che viene mangiato e che diventa cibo. Il pane nutre, Gesù nutre. Il Santo nutre la nostra santità; il Santo nutre il bene che c’è in noi, accresce la fede, la speranza, la carità che già abbiamo; ci fa sempre più figli di Dio, ci conforma a sé. Nel prendere in noi il pane eucaristico avviene il processo inverso a quello che avviene quando assumiamo il pane materiale. Il pane materiale che mangiamo viene assimilato da noi e diventa noi; il pane eucaristico che assumiamo invece ci assimila a sé e ci fa diventare sé.

È un processo di santificazione quello che deve avvenire nella nostra vita in forza delle frequenti Comunioni che facciamo. Deve realizzarsi, piano piano, ma sempre un po’ di più, ciò che san Paolo diceva di sé: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Cristo ci deve trasformare; Cristo ci deve santificare. È una vita spirituale “alta” quella che ci viene comunicata dall’Eucaristia e quella che ci viene chiesta dall’Eucaristia. Partendo dall’altare, uscendo di chiesa e tornando alle nostre case noi siamo chiamati ad essere “ostensori” di Cristo venuto in noi. Ostensori di Cristo! Ostensori che mostrano Cristo.

Voi sapete come sono preziosi gli ostensori in cui l’Eucaristia viene messa durante l’adorazione eucaristica. Sono d’argento, spesso dorati, con gemme preziose, solitamente fatti a raggiera per indicare Gesù sole che manda raggi di luce e d’amore.

A che varrebbe che fossero preziosi gli ostensori dell’adorazione eucaristica se non fossimo ostensori preziosi noi, impreziositi da bontà, carità, umiltà, pazienza, generosità, fede, preghiera? A che varrebbe?

Siamo noi, cristiani che ci cibiamo dell’Eucaristia, ad avere il compito e la missione di portare per le strade, nelle case, nelle fabbriche, negli uffici, nei luoghi del relax e del tempo libero quel Cristo che abbiamo ricevuto, la sua presenza, lui stesso abitante la nostra umanità, umanità che egli ha plasmato e modellato bella e santa sulla sua.

A questo punto si impone una riflessione seria, che ciascuno è chiamato a fare personalmente: come mi accosto all’Eucaristia? Come mi preparo ad essa? Fin dal mattino? Fin dal giorno prima? Qual è il ringraziamento che faccio alla Comunione ricevuta? Di che qualità è? Quanto dura? Che cosa chiedo nel tempo del ringraziamento? Il ricordo di Cristo venuto in me mi ritorna qualche volta lungo la giornata, o tutto si conclude in pochi minuti?

La teologia insegna che l’efficacia dei Sacramenti dipende da due fattori, dall’ “ex opere operato” e dall’ “ex opere operantis”, dalla forza del Sacramento in sé e dalle disposizioni di chi lo riceve. Noi, col nostro impegno più o meno grande possiamo favorire o frenare, addirittura arrestare, la forza santificante dell’Eucaristia.

Stasera, dopo la Comunione, terminato il canto, sosteremo in silenzio due minuti, due minuti di orologio, per un ringraziamento fervoroso all’Ospite d’onore che avremo accolto in noi.

Se il silenzio ci fosse pesante, potremo aiutarci rileggendo il Vangelo sul foglietto domenicale; ma staremo in silenzio orante col Signore.

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