3^ domenica di Pasqua

Rembrandt van Rijn – Cristo nella tempesta sul mare di Galilea – 1633

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( At 5,27b-32; 40b-41; Ap 5,11-14; Gv 21,1-14)

sabato 30 aprile 2022, risalente al 13 aprile 2013

Gesù si fa presente ai suoi apostoli, e questa volta con un prodigio: fa in modo che la loro barca si riempia miracolosamente di pesci.

Avevano pescato tutta la notte Pietro, Tommaso, Giacomo, Giovanni, Natanaele e gli altri due loro amici, senza prendere nulla; e sì che la notte è  il tempo più favorevole per pescare. Ora, di giorno, all’invito di Gesù di gettare di nuovo le reti, quelle reti si riempiono di pesci.

A riconoscere Gesù per primo è l’apostolo Giovanni, l’apostolo “che Gesù amava”, come lo definisce il Vangelo; l’apostolo che aveva stabilito con Gesù un rapporto di particolare amore, affetto e confidenza, tanto da sentire di poter posare il suo capo sul petto di Gesù durante l’ultima cena (Gv 13,25). Tutto il Vangelo di Giovanni e le sue lettere sono la testimonianza e la prova di quanto Giovanni abbia penetrato il mistero di Cristo e la profondità della persona di Gesù; Giovanni è riuscito a farlo più di tutti, perché amava tanto il Signore. Anche qui, ora, sul lago di Tiberiade, egli è il primo a riconoscere Gesù. Il cuore ha le sue intuizioni. Conosce, capisce, intuisce più di tutti colui che di più ama.

È uscito pochi giorni fa in libreria un libro che raccoglie una serie di Esercizi spirituali secondo il metodo ignaziano predicati da papa Francesco, dal titolo “Aprite la mente al vostro cuore”. La mente capisce, ma il cuore spesso capisce di più; una mente aperta al cuore capisce di più. L’invito è ad amare, ad esercitare il cuore; per capire.

Giovanni, nel raccontare il prodigio della pesca miracolosa, riporta un particolare preciso, che attira la nostra attenzione, e che nasconde, possiamo pensarlo, un significato simbolico, spirituale. Il particolare riguarda il numero dei pesci pescati in quella pesca: centocinquantatre pesci; e “benchè fossero tanti – nota Giovanni – la rete non si ruppe, non si squarciò”.

Centocinquantatre è un numero particolare, perché centocinquantatre è il numero che corrisponde alla somma del valore numerico delle lettere di due parole ebraiche: “qaal haahavàh”, che significano “comunità dell’amore”. Gli ebrei non conoscevano i numeri e indicavano i numeri con le lettere dell’alfabeto, e amavano talvolta giocare tra numeri e lettere di una parola, per cui alle volte indicavano una parola con i numeri corrispondenti alle lettere che la componevano, e viceversa. Centocinquantatre è il numero, dicevamo, delle parole “comunità dell’amore”.

La rete di cui parla Giovanni è immagine della Chiesa dei primi tempi, in cui confluivano tante persone per l’opera degli apostoli “pescatori di uomini” inviati da Gesù. Vi confluivano ebrei e pagani, pagani appartenenti a nazionalità e a culture diverse; e benchè fossero persone tanto differenti tra di loro, la “rete”, la Chiesa, la comunità di Gesù non si rompeva, non si spezzava, restava unita, perché i pesci erano centocinquantatrè, perché la Chiesa era la “comunità dell’amore”; l’amore la teneva insieme. È l’amore che conserva unite le comunità, i gruppi, le parrocchie, le associazioni, i movimenti, le famiglie, la Chiesa, il mondo. Gesù, donando una pesca di centocinquantatrè pesci, donava – in  simbolo – alla sua comunità unità e comunione.

E il vincolo dell’unità era assicurato da un pane speciale. Nel racconto Giovanni parla di un pane particolare che Gesù preparò e offrì agli apostoli, dopo la pesca, perché ne mangiassero e se ne cibassero; gli apostoli procurarono il pesce per il pasto, ma il pane lo procurò Gesù. Quel pane procurato da Gesù era il simbolo dell’Eucaristia, simbolo del pane che Gesù aveva dato ai suoi apostoli durante l’ultima cena; pane fonte, sorgente e segreto di unità tra i cristiani. “Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane”, dice san Paolo (1 Cor 10,17).

L’Eucaristia è il pane dell’unità, il pane che alimenta l’unità; è il corpo di Cristo dato e offerto per noi in un gesto di infinito amore, che alimenta l’amore. La “rete” della Chiesa non si spezzerà fintanto che avrà in sé l’Eucaristia, e fintanto che i cristiano vivranno l’Eucaristia, perché l’Eucaristia è il pane della carità, dell’amore.

Ecco dunque l’insegnamento di questo Vangelo: l’insegnamento è l’amore. Un amore che mette le ali al cuore, e lo rende capace di conoscere, di capire, di intuire; di intuire Dio, e di intuire il cuore dei fratelli, che può essere nella difficoltà, nella sofferenza, nella prova. Amore che tiene unite le differenze e le diversità, le realtà che sembrerebbero contrapporsi e spingere alla disgregazione. Centocinquantatre pesci, “comunità dell’amore”. Amore che sempre e di continuo viene attinto dall’Eucaristia, dal cibarsi del pane consacrato, il Corpo di Cristo, “fornace ardente di carità” che tiene viva in noi la carità.

Il tempo di Pasqua sia il tempo dell’amore, l’amore portatoci da Cristo risorto.

don Giovanni Unterberger

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