4^ domenica di Pasqua

Jean-François Millet – Pastorella con il suo gregge – 1864

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(At 13,14. 43-52 ;   Ap 7,9. 14b-17 ;   Gv 10,27-30)

sabato 7 maggio, risalente al 20 aprile 2013

“In quel tempo Gesù disse: le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”. Gesù parla di pecore, delle “sue” pecore; dunque egli è pastore, ha delle pecore e un gregge. In un altro passo del Vangelo Gesù dice: “Io sono il buon pastore” (Gv 10,11). Gesù è pastore.

Il pastore possiede un gregge e per lui il gregge è la ricchezza. Questo specialmente nell’antichità, ma ancor oggi in certe parti del mondo possedere un gregge è possedere ricchezza; possedere un gregge è avere sicurezza di sostentamento per la vita. Per cui il  pastore cura il suo gregge, lo nutre, lo guida a pascoli ubertosi, gli fa evitare i burroni, lo difende dai lupi e da ogni pericolo. Il gregge è prezioso per il pastore!

Noi siamo preziosi per Dio. L’Antico Testamento viene spesso considerato come la parte della Bibbia che ci presenta un Dio severo, duro e quasi cattivo. Sentite questo passo dell’Antico Testamento tolto dal libro del profeta Isaia: “Non temere, piccolo gregge -dice il Signore- io ti ho salvato; tu sei mio, mi appartieni. Tu sei prezioso ai miei occhi, e degno di stima; io ti amo. Se dovessi attraversare le acque, io sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai, la fiamma non ti potrà bruciare, perché io sono il Signore, il tuo Dio, il tuo pastore” (Is 43,1-4).

Convinciamoci, fratelli, di essere molto amati dal Signore. Che cosa avrebbe potuto fare Dio per noi più di quanto ha fatto? che cosa poteva fare Dio per noi più che accettare e sopportare che per la nostra salvezza il suo Figlio, il suo unico Figlio, fosse messo in croce, così che noi fossimo salvi, e potessimo avere un futuro che non fosse la rovina e la dannazione, rovina e dannazione che noi ci eravamo meritati con i nostri peccati e con i nostri “no” a lui? Potremmo avere forse un pastore più grande e più buono di Dio, più buono di Gesù? Noi siamo molto amati! Il Signore aumenti la nostra fede nel suo amore!

“Io conosco le mie pecore”, dice Gesù.

Conoscere. Per conoscere occorre interessarsi; per conoscere occorre “voler” conoscere. Non si conosce una cosa in modo approfondito se non ci si dedica ad essa; non si conosce davvero una persona se non la si frequenta, se non la si ascolta, se non si entra dentro il suo mondo. Gesù ci conosce. Ci conosce uno per uno, perché noi davanti a lui non siamo folla, numero, ma siamo persone conosciute ed amate una per una. Egli conosce tutto di noi, più ancora di quanto noi conosciamo noi stessi. Diceva Sant’Agostino che Dio è “intìmior ìntimo”, ci è più intimo del nostro intimo. Egli conosce i nostri problemi, le nostre difficoltà, i nostri limiti, la nostra debolezza, i nostri slanci, i nostri desideri di bene, i nostri propositi, le nostre necessità, il cammino che dobbiamo compiere.

Alle volte facciamo fatica a credere che davvero Gesù ci conosca e si occupi di noi, che ci segua con il suo sguardo, con la sua attenzione, con la sua presenza e con il suo aiuto. Ci è capitato di sentire alle volte, e forse noi stessi l’abbiamo detto in qualche momento: “Dio si è dimenticato di me; Dio ha cose ben più importanti a cui pensare, che non pensare a me…”. No, egli conosce perfino il numero dei capelli del nostro capo, e neppure uno di essi cade senza che egli se ne accorga e lo permetta (Mt 10,30; Lc 21,18). Il Signore ci ha davvero presenti; ci ha perfettamente presenti! Papa Giovanni XXIII, quand’era vescovo delegato apostolico in Bulgaria durante la seconda guerra mondiale, e in quel paese governato dal Comunismo non poteva esercitare alcun ministero religioso, neanche andare vestito da prete, era avvilito e sconsolato, ma facendosi forte nella fede scrisse nel suo diario: “Signore, io so che tu sai in che condizione mi trovo, e questo mi dà forza e fiducia”. Anche su questo punto il Signore aumenti la nostra fede!

Un’ultima riflessione dal breve Vangelo di oggi. Gesù dice: “Le mie pecore io le conosco, ed esse mi seguono”.

Seguire il Signore: questo è il nostro compito, il nostro impegno più importante, la nostra fortuna e il compimento pieno di noi. Noi non compiamo noi stessi in modo pieno e completo, così da essere felici, seguendo noi stessi, seguendo i nostri progetti, seguendo i miraggi che il mondo ci fa balenare davanti; ma seguendo lui, il buon Pastore,  che ci guida e sa dove sono per noi i pascoli della felicità.

Per seguirlo, poi, -dobbiamo ricordarlo- è necessario tenerlo davanti agli occhi. Non si può seguire una persona se non la si tiene davanti agli occhi, se non la si guarda spesso, se non si osserva dove essa vada. Ecco allora la necessità della preghiera, del pensiero, sia pur fugace, rivolto spesso durante la giornata al Signore; della domanda fatta a lui di frequente: “Signore, che cosa vuoi che io faccia?”, col desiderio di compiere la sua volontà.

Gesù si offe a noi come il buon Pastore; sia egli davvero il nostro pastore!

don Giovanni Unterberger

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