Il profeta Elia e Demamah

Elia è uno dei primi profeti in Israele; egli è uno dei grandi profeti, benché non abbia lasciato nessuno scritto; di lui scrissero i suoi discepoli. Il suo nome, Elia, in ebraico “Elijàhu” ( ,( אֵלִיָהוּ è un nome emblematico e altamente significativo; significa “il mio Dio è JHWH”. E difatti Elia fu il campione della difesa del primato e della signoria di JHWH, il Dio di Israele, contro la dilagante idolatria del suo tempo.

Elia è un uomo che sta continuamente alla presenza di Dio, ed è proprio perché si muove sempre con Dio davanti agli occhi, che egli è profeta, portatore della parola di Dio.

Elia incontrò Dio sul monte Oreb (1Re 19,1-13), ossia sul monte Sinai. Oreb e Sinai sono due nomi diversi per indicare il medesimo monte. Elia, ricercato a morte dalla regina Gezabele, dovette fuggire. Inoltratosi alquanto nel deserto, ad un certo punto si lasciò cadere a terra stanco ed esausto, col cuore gonfio e sconsolato. Disse: “Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri”. Si addormentò pieno di tristezza. Ma un angelo lo svegliò e gli disse: “Mangia questo pane e bevi quest’acqua che io ti ho procurato, e continua il tuo cammino”. Elia mangiò e bevve, e – dice il testo sacro – con la forza di quel cibo Elia camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb, fino alla meta, all’incontro con Dio. I Padri della Chiesa videro nel pane offerto dall’angelo ad Elia un simbolo e una prefigurazione del pane eucaristico. L’Eucaristia è il cibo offertoci da Dio per sostenerci nel cammino della vita, per darci forza ed energia nei nostri deserti, nelle nostre difficoltà e nelle nostre solitudini.

All’Oreb una straordinaria e singolare esperienza di Dio attendeva Elia. Il profeta entrò in una caverna per passarvi la notte, ma si sentì chiamare: “Elia, esci dalla caverna, e sta sul monte alla presenza del Signore”. Il Signore voleva rivelarsi a lui : «Il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce, ma il Signore non era nel vento; dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto; dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco; dopo il fuoco ci fu il sussurro di una brezza leggera (“qòl demamàh daqqàh”) .( ה קוֹל דְּמָמָה דֵקּ ) Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna. Ed ecco, sentì una voce che gli diceva: “Che fai qui, Elia?” » Dio era là, presente davanti a lui nel sussurro di una brezza leggera. Non nel vento impetuoso, non nel terremoto, non nel fuoco, ma nel sussurro di una brezza leggera.

Dio è un Dio che sorprende; Dio è un Dio che esce dagli schemi umani, e che è in tanti modi diverso da come l’uomo lo pensa. Quando l’uomo pensa Dio è portato a pensarlo forte, potente, che deve mettere a posto le cose, che dovrebbe impedire che il giusto e il debole vengano oppressi; un Dio che dovrebbe fermare la mano dell’oppressore, del violento, del cattivo, che dovrebbe fermare il dilagare del male. E invece Dio si dimostra debole. Sulla croce si è dimostrato debole; è stato fermato, bloccato, inchiodato, fatto morire. Quante volte noi desidereremmo interventi eclatanti e risolutori da parte di Dio; e invece Dio tace, lascia fare, sembra impotente, assente. “Dov’era Dio?”, si chiede Elie Wiesel nella sua opera “La notte”, ripensando agli orrori di Auschwitz. Dio è dentro la storia, dentro le vicende umane, liete e dolorose, come una brezza leggera. La sua azione però è salvezza; una salvezza che si realizza secondo schemi e modi diversi e più alti di quelli pensati da noi. Dalla debolezza del Figlio di Dio morto sulla croce Dio ha ricavato vita e salvezza per tutto il genere umano. Paolo canta questa verità nella sua prima lettera ai Corinzi, là dove dice: “Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani, ma potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1Cor 1,23-25). Dio ha lasciato morire suo Figlio, ma dentro quella morte egli era presente con una potenza di vita.

La manifestazione di Dio ad Elia sull’Oreb nel sussurro di una brezza leggera, ci insegna anche un’altra cosa. La voce di Dio è una voce tenue; non è una voce che spacca i timpani, ma che giunge agli orecchi e al cuore con discrezione, con delicatezza, con rispetto; come il sussurro di una brezza leggera. Il suo suono è inconfondibile (Elia lo riconobbe subito), ma è un suono che facilmente può essere sopraffatto dal frastuono dei nostri pensieri, delle nostre preoccupazioni, dei nostri impegni, delle nostre passioni.

Saper ascoltare la voce di Dio è un’arte importantissima, direi decisiva, perché quale voce, quale parola, è più importante e più preziosa per noi della voce e della parola di Dio? Per cogliere la voce di Dio occorre disporsi al silenzio, occorre saper fare silenzio. Solo l’anima silenziosa ode Dio. La beata Elisabetta della Trinità, una monaca carmelitana francese morta a ventisei anni nel 1909, scrive: “Stiamo in silenzio, per ascoltare Colui che ha tanto da dirci. Passerò la mia vita, Signore, ad ascoltarti”.

Penso a quando saremo alla fine della nostra vita; un rammarico potrebbe prenderci, quello di non aver permesso a Dio di dirci tutto quello che avrebbe voluto dirci; quello di aver tante volte lasciato cadere la sua voce; e Dio ci sarebbe rimasto ignoto; quel Dio che staremo per incontrare. Il mondo d’oggi non ci aiuta, ma noi dobbiamo saper riservarci, nel corso della giornata, delle pause di silenzio, del tempo per stare con il Signore ed ascoltarlo.

Don Giovanni Unterberger

Questa voce è stata pubblicata in Riflessioni. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.