Domenica di Quinquagesima

El Greco – Guarigione del cieco – 1570-1571

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(1Co3,13,1-13;    Lc 18,31-43)

Belluno, chiesa di s. Pietro, 14 febbraio 2021

Gesù, a Gerico, guarì un cieco; gli disse: “Abbi di nuovo la vista”, e il cieco ci vide. Ma quello non era l’unico cieco, Gesù ne aveva attorno a sé dodici: i suoi apostoli. Abbiamo sentito: Gesù era in cammino verso Gerusalemme e cominciò a preparare gli apostoli a quanto gli sarebbe là accaduto: “Il Figlio dell’uomo -disse- verrà consegnato ai pagani, verrà coperto di sputi, flagellato,  e poi ucciso”. Di fronte a queste parole gli apostoli -nota l’evangelista- “non compresero nulla; quel parlare restava loro oscuro, e non capivano quanto egli diceva”. Erano ciechi, non riuscivano a vedere il disegno di salvezza racchiuso nella passione e morte del Signore. E’ ciò che accade facilmente anche a noi di fronte al dolore, alle difficoltà, alla sofferenza: essere ciechi, tendere a rifiutare, a lamentarci, o, al più, a supplicare.

Papa Francesco, nella catechesi del 13 gennaio scorso, ha avanzato una prospettiva del tutto nuova, del tutto capovolta. Prendendo lo spunto da un momento di difficoltà della vita di Gesù, quando la predicazione del Signore gli attirava l’ostilità e la contestazione della parte più colta e più importante della società e del popolo, il papa dice che Gesù, in quella situazione, non si lamentò, non si chiuse in se stesso, non sbottò in recriminazioni, ma uscì invece in una preghiera di lode: “Ti rendo lode, o Padre, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25).

E il papa commenta: “In quel momento di apparente fallimento, segnato da avversione e ostilità, Gesù prega lodando il Padre. E la sua preghiera conduce anche noi a giudicare in maniera diversa le nostre sconfitte personali, le situazioni in cui non vediamo chiara la presenza e l’azione di Dio, quando sembra che il male prevalga e non ci sia modo di arrestarlo. Paradossalmente la lode dev’essere praticata non solo quando la vita ci ricolma di felicità, ma anche nei momenti difficili, nei momenti bui, quando il cammino si inerpica in salita; come fece Gesù. Perché impariamo che attraverso quella salita, quel sentiero faticoso, quei passaggi impegnativi, si arriva a vedere un panorama nuovo, un orizzonte più aperto. Lodare è come respirare ossigeno puro: ti purifica l’anima, ti fa guardare lontano, non ti lascia imprigionato nel momento difficile e buio della difficoltà”.

Il papa continua portando l’esempio di san Francesco a riguardo del Cantico delle creature; dice: “Il poverello d’Assisi non lo compose in un momento di gioia, di benessere, ma, al contrario, in mezzo agli stenti. Francesco era ormai quasi cieco, avvertiva nel suo animo il peso di una solitudine mai provata prima, il mondo non era cambiato dall’inizio della sua predicazione, e in più sentiva i passi della morte che si facevano più vicini. Avrebbe potuto essere, quello, il momento della delusione, della percezione del proprio fallimento. Ma Francesco in quell’istante di tristezza, di buio, pregò. E come pregò? ‘Laudato sii, mi Signore….’. Pregò lodando!

Ecco -conclude il papa- i Santi ci dimostrano che si può lodare sempre, nella buona e nella cattiva sorte, perché Dio è l’Amico fedele. Questo è il fondamento della lode: Dio è l’Amici fedele, e il suo amore non viene mai meno. Sempre lui è accanto a noi, lui ci aspetta sempre. Qualcuno ebbe a dire: ‘E’ la sentinella che è vicino a te e ti fa andare avanti con sicurezza’. Nei momenti difficili e bui troviamo il coraggio di dire: ‘Benedetto sei tu, o Signore’. Lodare il Signore. Questo ci farà tanto bene”.

Non è facile scorgere nelle difficoltà e nella sofferenza qualcosa di positivo, per cui lodare; ci viene da essere ciechi. Abbiamo bisogno che il Signore ci guarisca gli occhi della fede; che ci dia una fede che crede e che vede in profondità; che vede ciò che non si vede. Se come Gesù, e come san Francesco, arriveremo a lodare Dio nella sofferenza, avremo raggiunto la vera regione della pace. E’ grazia grande da domandare!

don Giovanni Unterberger

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