Pasqua di Resurrezione

Francesco Albani – Pie donne al sepolcro – 1604-1605

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(1Cor 5,7-8   Mc 16,1-7)

            Sembrava tutto finito a Gerusalemme per i seguaci di Gesù. Tutto finito, e miseramente finito! Dov’era l’entusiasmo delle folle davanti ai miracoli di Gesù?

            Avevano perfino pensato di farlo re (Gv 6,15), ma ora quell’entusiasmo si era del tutto spento e non si udiva più nessun “osanna”.

            Gli amici più stretti di Gesù, gli apostoli, si erano rinchiusi in casa, impauriti, incapaci di affrontare il mondo. E lui stesso, Gesù di Nazareth, il protagonista di tutta la vicenda, colui che aveva acceso speranze e attese infinite, inizio – sembrava – di un’era nuova e di un mondo mai visto, era finito in croce e giaceva in una tomba come tutti i mortali.  Una pesante pietra chiudeva il sepolcro e nessuno l’avrebbe più rimossa.

            Le donne andate al sepolcro il mattino di Pasqua per ungere il corpo di Gesù, Maria Maddalena, Maria di Giacomo e Salome, si chiedevano con ansia: “Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro?” Ed era un masso “molto grande”, molto pesante, nota l’evangelista Marco.

Ma quel masso era stato rotolato via. La potenza irrefrenabile e inarrestabile del Risorto l’aveva spostato e tolto; la tomba appariva aperta; aperta e vuota.

Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso – disse un misterioso giovane biancovestito alle donne – ; è risorto, non è qui”. “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?” (Lc 24,6). Gesù è vivo!

Cosa impensata! Trionfo della vita! Dono inestimabile e infinito di Dio all’uomo!

Resurrexi et adhuc tecum sum”, ci ha detto Gesù nell’Introito; “sono risorto e sono di nuovo con te”. Sono con te; non sei più solo; non devi più affrontare la vita da solo; hai me con te; hai, con te, me che ho vinto la morte, il dolore, l’offesa, il peccato, l’angoscia, la tristezza, la menzogna, tutto… Ho vinto tutto, e sono con te! La mia vittoria è la tua, il mio trionfo è il tuo, la mia vita è la tua. Credilo, non sei più solo. Il mio Santo Spirito che ti donai morendo, e che ora da risorto ti ri-do, in maniera ancora più abbondante, ti rende viva, vera, reale la mia presenza accanto a te; anzi, dentro di te. Sì, perché san Paolo dice: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Cristo vive in noi, e vive da risorto. Il suo Spirito lo rende vivo in noi, da risorto.

E da risorto egli ci trasforma, ci rende da terrestri celesti, da cittadini della terra cittadini del Cielo; da uomini soggetti al peccato uomini pieni di grazia e di santità. “Cristo nostro agnello pasquale è stato immolato – ci ha detto san Paolo – e voi siete azzimi”.

Azzimi, cioè pasta nuova, impasto nuovo, impasto fatto di Cristo, non più segnato e corrotto dal lievito del male, della malizia e del peccato; “azzimi di sincerità e di verità”. Siamo nuove creature, “nuova creazione” (2Cor 5,17).

Il nostro compito allora qual è?

Quello di non impedire a Cristo di invaderci; il compito di aprire mente, cuore, vita alla sua straordinaria potenza di trasformazione e di rinnovamento, di guarigione e di santificazione. È il compito di permettergli di ribaltare e togliere da noi, dalla nostra vita, la pietra tombale che vorrebbe tenerci nella morte, nell’insoddisfazione, nella tristezza, nel non senso, nella lontananza da lui, nella lontananza da noi stessi, da quella parte buona di noi che solo in Dio e nella comunione con lui trova pace, gioia e serenità. Cristo ci vuole uniti a sé.

Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova”, ci ha detto Paolo; togliete via ogni peccato.

La luce, la forza, la vita della Pasqua e del Cristo risorto mostreranno che nulla è come prima, che la tomba della morte è vuota, e che noi siamo nuovi, risorti; risorti con Lui.

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