2^ domenica dopo Pasqua

Scuola fiamminga – Parabola del buon Pastore – fine sec. XVI

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(1Pt 2,21-25; Gv 10, 11-16)

domenica 18 aprile 2021, risalente al 22 aprile 2012

Abbiamo un pastore. Non siamo pecore senza pastore. Eravamo erranti, e forse lo siamo ancora; pecore smarrite e sperdute per vie sbagliate, cadute in burroni e scarpate; ma abbiamo un pastore, un pastore buono che è venuto in cerca di noi e ci ha ricuperati, ci ha riportati a salvezza.

L’apostolo Pietro nella prima lettura ci ha parlato di questo pastore, ce lo ha descritto con parole e con tratti toccanti e commoventi. Cristo è il buon pastore, tutto puro, tutto santo, che “non commise mai peccato”, e che si caricò, si addossò, i nostri peccati “portandoli – dice Pietro – nel suo corpo sul legno della croce”.

Gesù ha portato i nostri peccati sul legno della croce, e lì, sulla croce, li ha sciolti e distrutti nel suo supremo atto d’amore. Sì, Gesù portò i nostri peccati sul legno della croce, ma, a sua volta, egli è stato portato sul legno della croce dai nostri peccati. Noi lo abbiamo crocifisso, noi l’abbiamo ucciso, ma egli ci ha salvati.

Le sue piaghe, quelle della flagellazione, quelle della coronazione di spine, quelle dei chiodi nelle mani e nei piedi, quella del costato, ci hanno guarito dalle nostre piaghe. Eravamo piagati e feriti; il male ci aveva ferito, e il male, che ancora continuamente compiamo, continuamente ci ferisce; ma dalle piaghe del Signore esce un torrente di misericordia, di grazia e di amore che continuamente ci sana, ci medica e ci guarisce. “Dalle sue piaghe siete stati guariti”, ci ha detto l’apostolo.

Beneficiari di un così grande dono e di un così grande amore sanante, noi – esorta Pietro – “non dobbiamo più vivere per il peccato, ma dobbiamo vivere per la giustizia”.

“Giustizia” (dikayoyine, nel testo greco) significa “giusto rapporto con Dio”. È il giusto rapporto con Dio che ci deve ormai stare a cuore; è la corretta relazione con lui che ci deve interessare. Sì, possiamo avere mille interessi, possiamo occuparci di tante cose, e, in concreto, la vita ci chiede di occuparci di tante cose; ma l’interesse primo e primario dev’essere quello di coltivare la nostra relazione con Dio, la nostra amicizia con lui.

E Pietro ce ne indica la modalità e la via. “Egli (Cristo) – dice – vi ha lasciato l’esempio, perché ne seguiate le orme”.

Seguire le orme di Cristo; ecco il giusto modo di coltivare la nostra relazione con Dio. Mettere i nostri piedi, i nostri passi, sulle sue orme, là dove egli ha camminato; come quando si va in montagna, e c’è la neve, e l’apripista cammina davanti al gruppo, e tutti i membri del gruppo camminano dietro a lui e pongono i propri piedi là dove li ha posti l’apripista, sulle sue orme, sulle sue peste. Così il gruppo non si perde, non sbaglia via, non cade in un crepaccio.

“Io sono la via”, disse Gesù (Gv 14,6); “io sono la luce del mondo, chi cammina dietro a me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12). Agli apostoli, a Pietro, ad Andrea, a Giacomo, a Giovanni, a Matteo, ai primi discepoli, Gesù disse: “Seguitemi, venite dietro a me, camminate sulla mia strada”.

La vita cristiana è essenzialmente un “seguire”, non è un inventare percorsi, è un “seguire”. Avanza e progredisce nella vita spirituale chi tiene davanti agli occhi e davanti al cuore Cristo, l’uomo perfetto, l’uomo ben riuscito, il Figlio di Dio impronta del Padre, che può imprimere la sua impronta in noi, nella nostra vita.

Ecco allora l’impegno che ci viene dalla parola di Dio di oggi: mettere ogni nostro pensiero, parola e gesto nella verità di Cristo, nella carità di Cristo, nella bontà di Cristo, nella mitezza di Cristo, nell’amore ai fratelli di Cristo.

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