7^ domenica del Tempo Ordinario

Etty Hillesum

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(Lv 19,1-2.17-18; 1Cor 3,16-23; Mt 5,38-48)

Sabato 18 febbraio 2023, risalente al 22 febbraio 2014

Gesù ci chiede un sussulto di carità; ci invita ad una carità che fu la sua carità, quella che visse lui nella sua vita; lui che mai si vendicò del male che riceveva; lui che sulla croce pregò per i suoi crocifissori: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,24).

In antico vi fu detto: ‘Occhio per occhio e dente per dente’, ma io vi dico di non opporvi al malvagio”, di non opporvi con la violenza al malvagio; di non mettere mano alla vendetta. La vendetta non ristabilisce la pace tra le persone; la vendetta perpetua e prolunga, anzi acuisce e rende ancora più violenta e rabbiosa la risposta, la reazione, il male con cui il tutto era iniziato.

Etty Hillesum era una ragazza ebrea morta nel campo di sterminio di Auschwitz nel 1943, all’età di ventinove anni. Nel suo diario scrisse: “Mi trovo nella mia baracca, prigioniera. Dalla stretta finestra della baracca vedo le SS passeggiare armate sul cortile del lager, e un moto di odio mi sale irrefrenabile e forte dal cuore. Ma subito mi dico: no, non devo odiare. Se odio, io aggiungo altro odio all’odio che già c’è; e di odio ce n’è già tanto, troppo, nel mondo!”

Etty Hillesum non era cristiana, era ebrea, eppure giunse a vincere in sé ogni istinto di odio, di vendetta e di violenza, anche nei confronti di chi le faceva violenza e dopo poco l’avrebbe fatta morire nella camera a gas.

Gesù non solo invita a non rispondere col male al male, ma ci sollecita ad un passo ancora più grande, ancora più ardito e più generoso: a rispondere al male col bene. “Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra – egli dice – tu porgigli anche l’altra”; non colpirlo anche tu in volto, ma perdonalo, e porgigli l’altra guancia.

Dicendo: “Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra” Gesù intende riferirsi ad un’offesa grave. Perché uno colpisca una persona che ha davanti a sé sulla guancia destra, deve dargli un manrovescio, cioè deve colpirlo col dorso della mano, con la parte dura della mano. Nella metafora usata da Gesù, lo schiaffo sulla guancia destra è segno di un torto grave, pesante, che ci venisse inflitto.

In questo caso siamo invitati a porgere l’altra guancia. Non nel senso di mostrarci disposti e quasi a sollecitare chi ci ha offeso ad offenderci di nuovo: ciò non sarebbe né il bene nostro né il bene di chi ci ha offeso; sarebbe un incitarlo ad aggiungere peccato a peccato.

Del resto neanche Gesù, quando fu colpito in volto dalla guardia del sommo sacerdote Anna, la sollecitò a colpirlo ancora. Gesù disse alla guardia: “Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?” (Gv 18,23). Quelle parole erano il tentativo di Gesù di aiutare la guardia a prendere coscienza di un gesto brutto che aveva compiuto, e a ravvedersi; era la risposta buona di Gesù all’offesa ricevuta.

Così, nella metafora, il porgere l’altra guancia sta a significare il rispondere con un atto buono ad un atto cattivo, con un gesto di dolcezza ad un gesto di violenza; la guancia infatti è la parte molle del volto; offrire la guancia al dorso duro della mano che ha colpito è come dire: “ti faccio del bene, a te che mi hai fatto del male”.

A queste altezza di carità ci chiama e ci invita il Signore! Egli ci chiama a non lasciarci condizionare nell’amare dalla misura con cui siamo amati; ci chiama ad amare anche se non siamo amati; ad amare anche chi ci avesse offeso.

Avete inteso – ci ha detto Gesù – che in antico vi fu detto: ‘amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico’. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano. Cercate di imitare il Padre vostro che è nei cieli, il quale non lesina i suoi doni, non fa discriminazioni e non seleziona chi deve amare e chi può fare a meno di amare; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, sui giusti e sugli ingiusti, su tutti”.

Il mondo ha bisogno di questo amore, ha assoluto bisogno di questa carità; ha bisogno di persone che, coscienti e consapevoli di essere amate da Dio e trattate con infinita bontà e pazienza, e mille volte perdonate, escano dalla logica del “come tu tratti me, così io tratto te”; per entrare nella nuova, cristiana e salvifica logica del “come Dio tratta me, così io tratto te”.

Ci dia il Signore questo amore, questa carità; essa può rinnovarci, e rinnovare il  mondo.

don Giovanni Unterberger

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