28° Domenica del Tempo ordinario

(Is 25,6-10°; Fil 4,12-14.19-20; Mt 28,1-14)

Duomo, sabato 11 ottobre 2014

Festa di nozze. E non di nozze qualsiasi, non di nozze comuni: a sposarsi è il figlio di un re. Suo padre, il re, ha preparato una festa straordinaria, un pranzo ricchissimo, sontuosissimo, per suo figlio. Ha fatto macellare buoi e animali accuratamente ingrassati per l’occasione; servirà “grasse vivande, vini eccellenti, cibi succulenti”, come ci ha detto Isaia nella prima lettura che abbiamo sentito proclamare.

Che stolti, che sciocchi e che sprovveduti quegli invitati a nozze a non cogliere l’invito! A non andare! A restare a casa loro, intenti ai propri affari! Sarebbero potuti andare a nozze senza dover portare nessun dono allo sposo, perché cosa si può regalare ad un figlio di re? Ha già tutto dal re suo padre! Non ha bisogno, un figlio di re, di doni da parte degli invitati…

Gesù raccontò questa parabola ai capi dei sacerdoti e ai farisei intendendo parlare loro del regno dei cieli. Il regno dei cieli è Gesù; il regno dei cieli è Dio; il regno dei cieli sono le cose di Dio.

 

Quei capi dei sacerdoti, quei farisei, stavano snobbando l’invito, stavano perdendo l’occasione di nozze straordinarie, l’invito a salvezza offerto loro da Gesù.

Quei capi dei sacerdoti e quei farisei sono l’emblema di tutti gli uomini che si chiudono al Signore, che lasciano cadere tanti suoi inviti, richiami, sollecitazioni al bene.

La domanda che ci poniamo è questa: come mai quegli invitati non hanno accolto l’invito a nozze? La risposta più plausibile sembra essere: quegli invitati non avevano consapevolezza, non avevano compreso e capito la grandezza, la fortuna, il valore di quelle nozze. Avevano altri beni per le mani, avevano affari da sbrigare: tutte cose buone, valide, sante…, ma non alla pari di quelle nozze. Quelle nozze erano più preziose di tutto; proprio di tutto!

Ci affiora alla mente la parabola del tesoro nascosto e della perla preziosa (Mt 13, 44-46). Il contadino che trovò il tesoro nel campo e il mercante che trovò la perla preziosa vendettero tutto quanto possedevano, perché avevano capito il valore, il prezzo, la fortuna di quel tesoro, di quella perla.

Anche a noi può accadere di non dare risposta piena a Dio perché ancora non l’abbiamo a pieno conosciuto; perché i suoi beni, le sue realtà, il tesoro che egli è, e i tesori che egli tiene in serbo per noi, noi non li abbiamo ancora pienamente capiti.

San Luigi Gonzaga era figlio dei marchesi Gonzaga, signori di Mantova. Gli spettava una grande e ricca eredità. Luigi a quindici anni entrò nella Compagnia di Gesù, rinunciò all’eredità del padre per un’eredità più grande, per l’eredità di Dio, per Dio, sua eredità. Rolando Rivi era un giovane seminarista nato in provincia di Reggio Emilia. Nel 1945 venne rapito da un gruppo di partigiani comunisti che lo tennero prigioniero per tre giorni in un bosco, intimandogli, pena la morte, di togliersi ed abbandonare la veste talare di cui era rivestito. Rolando sentiva la veste talare come il segno della sua appartenenza a Gesù. “No, non mi tolgo la talare – disse – Io sono di Gesù!” Fu ucciso con un colpo di pistola alla nuca. Aveva solo quattordici anni, ma già aveva capito la preziosità dell’appartenenza a Gesù, dell’amicizia con lui, tesoro più prezioso della vita stessa. Fu beatificato lo scorso anno.

San Paolo nella lettera agli Efesini scrive ai suoi cristiani: “Non cesso di pregare per voi affinchè il Dio del Signore nostro Gesù Cristo vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi, e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di voi nel salvarvi” (Ef 1,16-19).

L’apostolo Paolo chiede grazie di comprensione, grazie che aiutino i suoi cristiani a capire, a comprendere le cose di Dio.

Abbiamo bisogno anche noi di capire e di comprendere di più, sempre di più, Dio e le cose di Dio: la sua grazia, la sua bontà, il suo disegno buono sulla nostra vita, l’amore con cui ci ama, il valore dei sacramenti, le ricchezze della sua Parola, la gloria che egli ci riserva e ci prepara in paradiso.

Occorre che diventiamo più contemplativi, più capaci di “intus-lègere”, di “leggere dentro” nelle cose del cielo; allora le cose della terra riceveranno il loro giusto valore, il loro giusto posto; non saranno più cose che ci affannano, ci opprimono, ci disperano; né saranno cose che ci irretiscono, ci ipnotizzano e ci legano a sé fino a farci disdegnare e perdere l’invito a nozze del Signore.

Solo se avremo meditato, se avremo contemplato, se avremo dato tempo alle cose di Dio, esse ci appariranno in tutto il loro splendore, in tutto il loro valore, in tutto l’infinito bene che racchiudono in sé; e noi allora diremo con gioia e con prontezza al re che ci invita alle nozze del figlio: “Eccomi, ci sono; vengo! Grazie di avermi invitato!”

 

Questa voce è stata pubblicata in Omelie di Don Giovanni. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.