11° Domenica dopo Pentecoste (forma straordinaria)

(1 Cor 15,1-10;   Mc 7,31-37)

Belluno, chiesa di s. Stefano, 9 agosto 2015

Notiamo un particolare di questo miracolo di guarigione operato da Gesù. Gesù, richiesto di guarire un sordomuto, lo portò in disparte lontano dalla folla; e lì, in disparte, in un contatto del tutto personale (“Gesù gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua”), lo guarì. “In disparte, lontano dalla folla”, dice il Vangelo.

Che cosa ci insegna questo “in disparte”? E’ in disparte che avvengono i più grandi, i più fecondi, i più salvifici incontri tra l’anima e Gesù; gli incontri che modellano e cambiano la vita dell’uomo, le danno nuovo orientamento, nuova forza, nuova guarigione e nuova santità. “In disparte, lontano dalla folla”.

L’uomo d’oggi vive tanto “in mezzo”: in mezzo a persone, in mezzo ad occupazioni, in mezzo a problemi, in mezzo a sofferenze e a piaceri, in mezzo alle cose di questo mondo. E’ difficile vivere in mezzo a queste realtà senza che queste realtà prendano l’uomo e lo catturino, lo dominino, lo modellino su se stesse. L’uomo è chiamato per vocazione a vivere “in mezzo”, in mezzo al flusso della vita; l’uomo non può, e non deve, estraniarsi dalla vita (la vocazione all’eremitaggio è di pochi); l’uomo però deve sapersi riservare momenti “in disparte”. E’ Gesù che lo chiama in disparte, così come chiamò e portò in disparte il sordomuto per guarirlo. Gesù ha bisogno di momenti così, di momenti personali di lui con l’uomo solo, per poter agire sull’anima e nella vita dell’uomo.

Gesù stesso, che pure aveva un apostolato immenso davanti a sé da compiere, e che era Gesù (!), si ritirava spesso in disparte, per stare solo con il Padre. I Vangeli lo notano con frequenza: “Al mattino Gesù si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo solitario e là pregava”, ci dice l’evangelista Marco (Mc 1,35). E Matteo dice: “Congedata la folla, Gesù salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora lassù” (Mt 14,23). E Giovanni dice: “Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re -dopo la moltiplicazione dei pani- si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo” (Gv 6,15).  Gesù aveva bisogno, e cercava momenti di solitudine, per stare in disparte, per stare con il Padre. Dai momenti in cui egli stava con il Padre, riceveva luce, forza, consolazione, ardire per la sua vita e per la sua missione.

I nostri momenti “in disparte” con Gesù sono momenti preziosi e importanti; sono momenti necessari. In quei momenti egli ci guarisce, ci tocca con la sua mano invisibile ma vera, reale; opera in noi virtù e salvezza.

Gesù stesso ci chiede di lasciare “la folla”, la folla delle persone, delle occupazioni, dei pensieri, delle preoccupazioni, degli affetti, per lasciarci formare e costruire da lui. C’è nell’Antico Testamento un passo molto bello, commovente, là dove Dio dice al suo popolo, popolo che gli sente e considera come sua sposa (e quel popolo oggi siamo noi)… Dio dice: “Ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” (Os 2,16). Gesù ci vuole “nel deserto”, nella solitudine, almeno qualche volta, almeno un po’; perché ci vuole con sé e ci vuole per sé; ci vuole con una presenza esclusiva, perché egli vuole donarsi a noi in pienezza, facendoci grazia di tutto il suo affetto, di tutto il suo amore.

Il sordomuto, portato da Gesù in disparte, e in disparte guarito, poi tornò in mezzo alla gente, e vi tornò che udiva e che parlava correttamente. Così sarà anche di noi: dopo l’essere stati “in disparte” con Gesù noi ritorneremo dai nostri fratelli e alle nostre occupazioni non più gli stessi ma diversi; più buoni e più cristiani; più modellati su colui con cui ci siamo intrattenuti.

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