Domenica della santa Famiglia di Nazareth 2015 (forma ordinaria)

(1Sam 1,20-22. 24-28;   1Gv 3,1-2. 21-24;   Lc 2,41-52)

Duomo di Belluno, sabato 26 dicembre 2015

Guardarsi allo specchio è gesto importante. Guardarsi allo specchio dà la vera immagine di sé. Guardandosi allo specchio si può notare qualche difetto, qualche ruga sul volto, qualcosa che va corretto e rimediato. Guardarsi allo specchio è utile; anzi, possiamo dire, necessario. Lo specchio che la Liturgia di questa domenica ci mette davanti, invitandoci a specchiarci in esso, è la santa Famiglia di Nazareth, la famiglia di Giuseppe, Maria e Gesù. Specchio tersissimo per le nostre famiglie.

Della santa Famiglia di Nazareth il Vangelo che abbiamo ora sentito proclamare, ci mette davanti un momento preciso, una situazione particolare. Giuseppe e Maria erano saliti a Gerusalemme in pellegrinaggio per la festa di Pasqua insieme con Gesù dodicenne. Al momento del ritorno si verificò una cosa strana, impensata: Gesù, anziché unirsi ai suoi genitori per tornare a casa, si fermò, a loro insaputa, al tempio di Gerusalemme ad ascoltare e ad interrogare i dottori della legge. E quando Maria sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto questo?”, egli rispose: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Risposta inattesa, risposta misteriosa; tanto che Giuseppe e Maria -nota il Vangelo- non compresero quella risposta; e Maria “custodiva tutte queste cose -parole e comportamento di Gesù- nel suo cuore”, cercando di capire. E faceva fatica a capire.

La condizione della santa Famiglia di Nazareth era quella di non avere tutto chiaro in se stessa, di avere in sé del mistero. Quel figlio, Gesù, era per Giuseppe e Maria ‘mistero’, un mistero non del tutto afferrabile; un mistero che chiedeva ed aveva bisogno di essere ascoltato, indagato, capito. Ma non solo Gesù era mistero ai suoi genitori, gli stessi suoi genitori erano ‘mistero’ l’uno all’altro.

Giuseppe non avrà mai smesso per tutta la vita di sentire Maria come ‘mistero’: il concepimento straordinario di Maria per opera dello Spirito Santo, la scelta di Maria di rimanere vergine pur essendo sposata a lui, il modo santo di vivere di lei, sarà stato per Giuseppe un ‘mistero’. E d’altra parte, per Maria, Giuseppe doveva essere un ‘mistero’: perché mai Dio le aveva messo accanto quell’uomo che non era il padre di suo figlio? uno sposo con cui vivere da sposa in modo del tutto particolare? Erano ‘mistero’ le une alle altre, le persone della santa Famiglia di Nazareth.

Così è anche per le persone di ogni famiglia. Ogni persona è ‘mistero’. La consuetudine e la vita insieme, la vita di famiglia che pone le persone tanto vicine le une alle altre e che chiede di occuparsi le une delle altre, può far dimenticare che ciascun membro della famiglia è un mistero; mistero che va ascoltato, rispettato, accolto. Il rischio di fronte ad ogni persona in generale, e così pure all’interno della famiglia, è quello di dimenticare ciò, così che facilmente insorge la tentazione di possedere l’altro, di volerlo dominare, di volersene appropriare, di sapere già tutto dell’altro, quasi che l’altro non fosse un ‘mistero’; un mistero invece da ascoltare e da capire, un mistero da scoprire.

L’atteggiamento di Maria ci è di esempio e di indicazione: una volta ritrovato Gesù al tempio, ella non lo rimprovera quasi sapesse quello che Gesù avrebbe dovuto fare, ma gli pone una domanda: “Figlio, perché ci hai fatto questo?”. Maria domanda, Maria chiede, Maria vuole capire; Maria ha la disposizione d’animo di lasciarsi dire da Gesù qualcosa che di Gesù ella ancora non sa.

Il trattarsi vicendevolmente da ‘mistero’ è segno d’amore, di vero amore; e, insieme, il trattarsi vicendevolmente da ‘mistero’ richiede amore, richiede vero amore. Ecco opportuna l’esortazione dell’apostolo Giovanni, che nella seconda lettura proclamataci ci ha detto: “Amatevi gli uni gli altri, secondo il precetto che Gesù ci ha dato”. Trattiamoci da ‘mistero’, con amore, con rispetto, direi perfino con riverenza e devozione. Non dominiamoci. Ascoltiamoci. Permettiamo all’altro di rivelarci il suo mistero. E riveliamo il nostro mistero che è in noi.

don Giovanni Unterberger

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