Ascensione di Gesù (forma ordinaria)

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(At 1,1-11; Ebr 9,24-28; 10,19-23; Lc 24,46-53)

Duomo di Belluno e chiesa di s. Stefano, 8 maggio 2016

“E’ asceso al cielo il buon Pastore”, canta oggi, festosa, la Liturgia.

La vita di Gesù, iniziata con la discesa del Verbo nella natura umana preparata nel grembo di Maria dallo Spirito Santo, si è conclusa con l’ascesa al cielo di quella stessa natura umana, collocata gloriosa alla destra di Dio Padre.

Discesa e ascesa. La discesa fu grande e profonda. “Cristo umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce”. Ma poi l’ascesa: “Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra” (Fil 2,8-11).

Gesù è salito al cielo ed è in cielo con il segno delle ferite e delle piaghe di crocifisso, sommo Sacerdote in atto di presentare al Padre il sacrificio di sé e della sua vita. Gesù in cielo è “sempre vivo ad intercedere per noi”, dice la lettera agli Ebrei (Ebr 7,25). Egli se ne è andato, ma non se ne è andato; egli è ancora, in altro modo, con noi: “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”, disse prima di salire al cielo (Mt 28,20).

Salendo al cielo Gesù occupò il suo posto, il posto che gli competeva alla destra di Dio Padre; e lo occupò come primogenito tra molti fratelli. Gesù è “il primogenito tra molti fratelli”, afferma san Paolo (Rm 8,29), per cui dal cielo egli ci tiene legati a sé come fratelli in una cordata invisibile, misteriosa ma reale, cordata che ci porta in cielo a salvezza.

Durante l’ultima cena Gesù disse: “Vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io” (Gv 14,2-3). Gesù ci prepara un posto in cielo, vuole averci con sé in cielo. Egli non è asceso al cielo solo per sé, ma vi è asceso anche per noi. Nella sua natura umana collocata accanto al Padre è la nostra natura umana già collocata accanto al Padre; noi siamo, in lui e grazie a lui, destinati a sedere accanto al Padre. Il cielo, aperto da Gesù, è aperto per noi.

“Dal suo trono di gloria -ebbe a dire in una sua omelia papa Giovanni Paolo II- Gesù invia a tutta la Chiesa un messaggio di speranza e una chiamata alla santità”. Anche una chiamata alla santità, una chiamata a salire, ad iniziare già fin da questa vita un’ascensione, l’ascensione nella pratica delle virtù e del bene, che possa sfociare un giorno nell’ascensione perfetta e definitiva in paradiso.

“La strada di questa ascensione  -scrive Soren Kierkegaard- non è impossibile da quando l’impossibile si è fatto nostra strada”. L’impossibile, Cristo, si è fatto nostra strada, “Io sono la via”, egli disse (Gv 14,6), per cui praticando quella via, camminando su quella strada, noi arriviamo al cielo. Ciò non è più impossibile. Santa Teresa di Gesù Bambino nella sua autobiografia ‘Storia di un’anima’, usa un’immagine ardita a proposito di Gesù: lo chiama l’ ‘ascensore divino’. Salendo su quell’ascensore, cioè stando uniti a Cristo, noi siamo da lui portati in cielo, fino al Padre.  Dice la santa: “Vorrei avere un ascensore per salire la dura scala della perfezione. L’ascensore che può innalzarmi fino al cielo sono le vostre braccia, Gesù”,

Sono a nostra disposizione le ‘braccia’ di Gesù; braccia buone, braccia forti, braccia che dal cielo scendono fino a noi per prenderci, per raccoglierci e portarci in cielo, nostra patria. Non dimentichiamo mai: noi siamo qui sulla terra, ma “la nostra patria è nei cieli” (Fil 3,20). Noi siamo fatti per il cielo.

don Giovanni Unterberger

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