9a domenica dopo Pentecoste (forma straordinaria)

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(1 Cor 10,6-13;   Lc 19, 41-47)

Belluno, chiesa di s. Stefano, 17 luglio 2016

Colpisce e fa impressione il pianto di Gesù.  Gesù doveva essere un uomo forte; forte non solo fisicamente, forte anche moralmente, anche psicologicamente ed emotivamente. La sua natura umana era sana ed equilibrata. Fa quindi impressione e colpisce che un uomo perfettamente equilibrato, qual era Gesù. sia stato preso da una crisi di pianto, e sia scoppiato in lacrime oppresso da un dolore profondo.

A farlo piangere fu il pensiero della fine tragica che avrebbe colpito Gerusalemme, la città santa, la città ricca di storia di Dio, bella e maestosa anche nei suoi palazzi e nelle sue strutture murarie. Di quella città non sarebbe rimasto che pietra su pietra, un cumulo di macerie. E infatti quarant’anni dopo, nell’anno 70, l’esercito di Roma rase al suolo Gerusalemme.

Gerusalemme si era chiusa al Signore, non aveva riconosciuto il tempo della visita di Dio che in Gesù le portava salvezza e futuro; Gerusalemme sarebbe perita in conseguenza delle proprie scelte sbagliate. Anche san Paolo nell’epistola ci ha enumerato una serie di scelte sbagliate compiute dal popolo di Israele nel deserto, scelte che gli procurarono sofferenze, dolori e morte. “Si diedero all’impudicizia, e ne morirono ventitremila in un solo giorno; si ribellarono a Dio, e caddero vittime dei serpenti; mormorarono contro il Signore, e caddero vittime dello sterminatore”.

Dalle scelte che l’uomo fa gli derivano precise conseguenze. Da scelte buone derivano conseguenze buone, da scelte cattive derivano conseguenze cattive. Quanto forse anche noi ci siamo dovuti rammaricare per scelte sbagliate compiute, e quanto forse possiamo ancora oggi gioire per decisioni buone prese! Dice il Signore nel libro del Deuteronomio: “Davanti a te, Israele, stanno la  vita e il bene, la morte e il male. Cammina per le vie del Signore e osserva i suoi comandamenti, perché tu viva e ti moltiplichi; ma se il tuo cure si volge al male, di certo perirai” (Dt 30,15-18).

E’ un invito, quello che ci viene oggi dalla Parola di Dio, ad un grande senso di responsabilità circa il nostro agire. La scienza ci dice, benché a noi possa sembrare esagerato, che il battito d’ali di una farfalla in Amazzonia può provocare un ciclone nelle Azzorre. In effetti, quanto male, quanto rancore può provocare, ad esempio, una parola dura, cattiva, di giudizio, pronunciata verso una persona. Alle volte persone non si parlano più per decenni per una parola cattiva detta e pronunciata malamente.

Nulla possiamo fare con superficialità. E’ necessaria piuttosto molta vigilanza su ciò che diciamo, su ciò che facciamo. Siamo tutti interdipendenti; il comportamento di ciascuno incide in bene o in male, oltre che su se stessi, anche sugli altri. Vale ancora il discorso del ‘buon esempio’ e del ‘cattivo esempio’, come si usava dire una volta. L’individualismo e l’autoreferenzialità, a cui, se non facciamo attenzione, facilmente cediamo, rischiano di farci dimenticare la dimensione relazionale e sociale che, in quanto esseri umani, abbiamo.

E’ stato scritto che noi siamo ‘i figli dei nostri atti’, delle nostre scelte. E’ proprio così. Con i nostri atti, con le scelte di ogni giorno, anche quelle piccole e minime a cui magari diamo poca importanza, noi ci costruiamo, ci diamo fisionomia e statura. E diamo fisionomia e volto, in parte almeno, anche alle persone con cui viviamo e con cui veniamo in contatto. Diamo volto alle relazioni, al mondo che ci circonda.

Gesù pianse sulle conseguenze dolorose delle scelte sbagliate di Gerusalemme; che egli possa gioire, e con lui noi,  e tutti, sulle conseguenze buone e sane del nostro quotidiano vivere ed agire buono.

don Giovanni Unterberger

 

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